Saggi

Confidiamo in Discovery Channel

di  Emma Pretti*

Leopardi denunciava già ai suoi tempi come la poesia fosse schiacciata dal sovrabbondante numero di poeti rispetto all’esigua quantità di lettori e di estimatori del genere letterario in cui tutti si cimentano come autori e in pochissimi si propongono come lettori. Sorprende leggere come nella sua operetta Il Parini ovvero della gloria il poeta lamentasse  condizioni pessime per la scrittura (  riferendosi per lo più alla poesia), e le sue considerazioni ricavate da una realtà sostanzialmente immutata  nei secoli, dovrebbero suggerirci qualcosa di poco incline alla fiducia circa un futuro cambiamento di rotta. Per questo motivo salterò alcune delle annose questioni a cui, credo, nessuno riuscirà mai a porre rimedio, e andrò subito al dunque. Intendiamoci non è una cosa da perderci il sonno, ma visto che siamo in argomento tanto vale spendere alcune parole. Perché la poesia sembra destinata a essere un genere in via di estinzione a causa di una mancanza d’ascolto, a mio avviso, ormai irreversibile?

Semplice, per lo stesso motivo per cui si stanno estinguendo i ghepardi ( e diverse altre specie su questo pianeta ). Primo fra tutti l’incalzante avanzare di un habitat profondamente ostile: raziocinante, edonistico, appariscente, sbrigativo, distratto da una caterva di stimoli e pressappochista, anche in ambito letterario, quando – sintetizzando T. Eliot – la pratica della poesia dovrebbe almeno conferire l’abitudine ad analizzare il significato delle parole, proprie e altrui. Aggiungiamo il consolidarsi di specie (leggi generi letterari) più robuste e, essendo composte da meno arte e più artigianato, maggiormente adatte alla diffusione e alla commercializzazione, cosa che permette loro di non far mai mancare il cibo alla prole degli autori, creando così discendenza e eredi, e di rafforzare la loro fibra, rendendoli in generale più resistenti all’inquinamento prodotto da: concorsi letterari, redazioni editoriali molto trendy, critica prezzolata, correnti politiche (venefiche al massimo grado).

Non sarebbe giusto tralasciare le implicazioni apportate dal clima generale caratterizzato da una impostazione razionale di tipo scientifico- tecnologico, che accetta, anche se di malavoglia, l’immaginazione e trascura la fantasia – quando l’immaginazione si presenta come un elemento di grado minore rispetto alla fantasia, zampillo di forza creatrice, come ben specificato da De Sanctis. La conseguenza è la formazione di un gusto marcato per l’espressione meticolosamente dettagliata, arricchita da cognizioni di misura  enciclopedica e dalla forma sostanzialmente esplicativa. Nella nostra società di collegamenti Web, Wikipedia, Facebook e reality TV, ogni cosa e ognuno si presenta con un etichetta e una definizione esauriente. Scarso spazio viene concesso alle suggestioni dell’ambiguità e all’interpretazione personale. La poesia viene considerata un genere dai contenuti oscuri, combinati in modo frammentario, illogico, quasi la balbuzie di un bambino; per dirla tutta, una manifestazione letteraria infantile. Crescono invece rigogliosamente quei generi dove è possibile “ lasciare la fantasia a casa” come recita lo slogan che pubblicizza l’Alice nel paese delle meraviglie di Tim Burton, ingigantita dal  3D, dove ogni elemento magico o fantastico viene raffigurato in modo meticoloso e particolareggiato (stesso discorso vale per la saga di Harry Potter e quei volumi di proporzioni mastodontiche che vanno sotto il nome di bestsellers).

A questo punto bisognerà segnalare anche l’indebolimento degli esemplari della razza dei poeti a causa di tare ereditarie e malattie genetiche quali l’inclinazione a ritirarsi in conventicole e cantorie, club per  soli soci e privé esclusivi; nonché l’inasprimento di patologie già endemiche come l’abitudine a lamentarsi, raccontare della propria infanzia, rincorrere i ricordi e prendersi troppo sul serio dimostrando uno spirito pedante e un ancor più pedante senso dell’umorismo. All’interno dei gruppi, l’esemplare dominante è deturpato da chiazze di presunzione grandi come padelle e una sete di potere che lo conduce alla cecità e alla grettezza: in poche parole, si sente un Dio. Rappresentata da una tale razza la poesia possiede ben poche speranze di conservarsi; non le resta che tentare qualche migrazione, sconfinamenti all’interno di altri generi e unioni interdisciplinari. Tanto per fare un esempio, a volte la pubblicità accoglie sotto forma di slogan le coniazioni dei poeti, purtroppo in forma anonima, con ottimi risultati e soddisfazione da tutte le parti, ad eccezione degli autori. Angustiati dalla scarsezza di spazio e considerazione, dalla mancanza di una critica competente e animata da una giusta passione per le opere di valore, i poeti si sono ridotti a fare i critici dei propri colleghi, offrendo il fianco a paradossali conflitti d’interesse e dando vita a recensioni che si distinguono solo per il loro marcato carattere cerimoniale e quella particolare forma di auto-incoraggiamento che le varie comunità di poeti rivolge ai propri amici ( anch’essi poeti costretti dalla contingenza a comportarsi in modo analogo, mentendo il più delle volte).

Una catena di eventi, un circolo vizioso dove i verseggiatori vagano dolenti, si salutano scambiandosi le proprie opere a vicenda e danno vita a un commercio sommerso che può trovare somiglianza solo con quello del sistema filatelico. (Parallelamente il naturalista ci spiega che il ghepardo si sta estinguendo sostanzialmente perché ha raggiunto il suo culmine evolutivo e questo lo costringe a uno stile di vita troppo selettivo e circoscritto). Di fronte a un tale panorama il pronostico è presto fatto: la poesia si sta avviando a diventare una categoria d’antiquariato, quali il fotoromanzo (che a suo tempo unificò la lingua italiana diffondendola da nord a sud), il fumetto (diventato oramai soggetto museale e di culto) e un’altra prossima new entry, quella della fantascienza che appare in questo momento altrettanto disertata e superflua, visto che il presente quotidiano e domestico viaggia ormai più veloce del futuro. Possiamo solo augurarci che un bel giorno l’editoria (quella che conta, non il pulviscolo delle piccole e insignificanti case editrici specializzate in contributi- da parte- dell’autore) si trovi nella condizione di dover risvegliare l’attenzione dei lettori, ormai tediati dai romanzoni prodotti in quantità industriali da team specializzati nell’arte del copia-incolla, e butti un occhiata sui generi letterari d’antan, magari commissionando qualche bel documentario sulla poesia, i poeti e la pratica poetica; documentari da trasmettere su Discovery Channel con ripetuti passaggi nelle più diverse fasce orarie, per assicurarsi l’ascolto degli utenti di ogni età e ceto sociale. I filmati potrebbero mostrare i poeti mentre riflettono, scrivono, si deprimono; quando seduti sopra una scogliera osservano un tramonto ventoso o passeggiano d’autunno lungo il viale dei sogni spezzati – e poi poeti al lavoro, poeti in famiglia, durante le letture delle loro liriche, mentre recitano l’angoscia o mimano una qualche intensa esperienza esistenziale, nonché a tavola, al ristorante con amici, indugiando anche, con prurito scandalistico, sulle loro relazioni amorose e i comportamenti sessuali. Il repertorio a cui attingere sarebbe vastissimo e articolato, e l’inclinazione al pettegolezzo avrebbe i suoi argomenti e le sue soddisfazioni. Non dobbiamo comunque per questo lasciarci andare a facili entusiasmi e abbandonare una sostanziale visione realistica condita di sano scetticismo: la promozione non darà certo vita a una rinascita salutata da scoppiettanti fuochi d’artificio, non si tratta in sostanza del lancio dello shuttle.

La poesia è composta da una sostanza inafferrabile, una ‘prestididigitazione’ verbale per l’incremento dell’intelligenza, una serie di giochi che rendono eccitante e divertente dire la verità, immaginarne una nuova o vanificare la pretesa di possederla. Il lettore e il poeta devono conservare per lei un’ardente passione e nello stesso tempo esserne un po’ nauseati, poiché questo significa mostrarsi esigenti, non bulimici, né troppo tolleranti. Date le premesse, concorderete con me nel dire che l’articolo poetico appare piuttosto difficile da piazzare. Ma grazie alla campagna di massiccia e inedita visibilità potremmo alla fine sperare di guadagnare qualche lettore in più, mentre i restanti telespettatori continueranno a osservarci con la consueta curiosità fin troppo incline al sorriso e lo stupore infantile con cui si ammira un confuso, incomprensibile reperto fossile del quaternario.

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Emma Pretti è nata a Trino (Vercelli). Collabora con numerose riviste italiane e straniere con poesie, traduzioni, recensioni e racconti. Suoi testipoetici sono presenti nell’antologia Giovani poeti nati dopo il ’50, diretta da Edoardo Sanguineti e curata da Adriano Spatola (Roma, Etrusculudens, 1983). Il suo primo libro di poesia, Assurde presenze perfette, è del 1995 (Pisa, Giardini, 1995). In seguito ha pubblicato Battaglie nane (Pisa-Roma, Istituti Poligrafici Internaz., 1997), la raccolta di poemi Viaggio da Ovest a Est (Pisa-Roma, Istituti Poligrafici Internaz., 1997), nel 2002 Economia del bosco (Marina di Minturno, Caramanica Editore, 2002), A Caccia in paradiso (Novi Ligure, Edizioni Joker, 2005). Suoi racconti sono apparsi su «Italian Poetry Review» (i, 2006, pp. 185-188, Columbia University, Italian Academy and Fordham University) e «Le colline di Pavese» (gennaio 2006, anno 29, n. 109, pp. 21 e gennaio 2007, anno 30, n. 113, pp. 35-37, rivista del Centro Studi Pavese). Dal 2006 partecipa assiduamente a letture pubbliche e performance, eventi divulgativi e di informazione di carattere letterario. Per un’emittente privata ha condotto una rubrica radiofonica dedicata alla poesia. Nel 2008 l’aido del Piemonte (Associazione Italiana Donazione Organi) ha basato la sua campagna di informazione sulla pubblicazione di una storia vera trattata in forma di racconto da Emma Pretti dal titolo La vita segreta; l’opuscolo è stato realizzato con il sostegno del Centro Servizi Volontariato di Vercelli e si è aggiunto al materiale di divulgazione e informazione dell’aido. Il suo ultimo volume di poesia è I giorni chiamati nemici, postfazione di Mauro Ferrari, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2010 (http://www.sefeditrice.it/collana.asp?IDCollana=34).

11 thoughts on “Confidiamo in Discovery Channel

  1. Vorrei aggiungere, al bel articolo di Emma Pretti (uno dei pochi poeti autentici), qualche considerazione che mi ha suggerito con la sua lucida ironia. Non solo è vero che c’è sempre stato un divario tra i poeti e il loro pubblico, oggi accentuato dalla distorsione ottica per cui tutto appare sotto la lente dei grandi numeri, dei roboanti palcoscenici, del chiasso organizzato, delle top ten ecc., ma spesso i poeti hanno avuto la tentazione di giustificare questa frattura, come Hölderlin: Wozu Dichter in dürftiger Zeit? attribuendola alternativamente allo spirito del tempo o alla loro stessa eccentricità, quasi fosse una malattia. Ma se le cose stessero in tutt’altro modo? Se proprio la marginalità dei poeti, quelli veri (quelli non autentici, come dice la Pretti, si comportano, in modo grottesco, recitando, all’interno di agre conventicole, la parte di quelli che considerano usurpatori), fosse il guscio che protegge la poesia, e non la sua maledizione, la sua tabe originaria? Così come il silenzio, l’essere in esilio nel bel mezzo di un mondo frenetico, attenendosi a regole severe e ormai incomprensibili, non nuoce allo spirito monacale, ma ne costituisce l’essenza, o meglio fonda la possibilità della sua differenza. La parola sfigurata, gettata come una pietra addosso agli altri, rinnegata prima ancora di essere pronunciata, la parola sciatta e deforme, la parola stuprata perché indifesa, ridotta a strumento, la parola che non nomina più ma diventa serva di una demenza collettiva, questa parola il poeta protegge e coltiva, ma solo se si è allontanato, se si tiene in disparte dai nemici della parola, se non si confonde con essi. Tutto questo non allude a una sottrazione civile, a una fuga, a un rimedio consolatorio e in ultima analisi a una forma di vigliaccheria. Occuparsi delle parole significa fare politica, nel senso alto e unico del termine, significa non lasciare il campo ai traditori della parola e dunque della polis, come insegnava, in modo esemplare, Confucio in un brano straordinario che Karl Kraus riportò nel maggio del 1931 sulla rivista Fackel: «Se i concetti non sono giusti le opere non si compiono; se le opere non si compiono arte e morale non prosperano; se arte e morale non prosperano, la giustizia non è precisa; se la giustizia non è precisa, il paese non sa dove poggiare. Perciò non si deve tollerare che le parole non siano in ordine. E’ questo che importa».

  2. Ringrazio Bruno Nacci per il lusinghiero giudizio sul mio articolo e in particolare per il suo commento, che aprendo di fatto una nuova direzione, elabora e amplia le argomentazioni.
    Invito chiunque lo desideri a collegarsi con questi due scritti per formare una catena di opinioni sul tema.

  3. ” Perciò non si deve tollerare che le parole non siano in ordine” Chiosa giustamente Bruno Nacci.
    E’ questa la differenza del poeta, contrapposta al linguaggio passato al frullatore. E’ questa la differenza con cui il poeta cammina a braccetto.

  4. Caro Bruno, mi permetta ancora un’appendice al suo commento iniziale: il poeta rappresenta sempre un attacco all’ordine e uno al pudore – dove pudore,in questo caso è inteso come tacita adesione e assenso ai comportamenti del fastidiosissimo politically correct.

    Il politically correct costituisce il neo-moralismo della nostra epoca.

  5. Bello, interessante e stimolante articolo di Emma Pretti, ironico, a volte amaro, molto preciso nel rappresentare la situazione in cui si trova a navigare al giorno d’oggi la poesia. Forse, proprio tenendo conto di ciò che già scriveva sulla poesia Giacomo Leopardi, sarei propenso a non vedere troppo grigio nel futuro della poesia. Non la luce calda del sole, o quella di un sole timido, ma neppure troppo grigio.
    Già Leopardi si lamentava, come sottolinea Emma Pretti, di “come la poesia fosse schiacciata dal sovrabbondante numero di poeti rispetto all’esigua quantità di lettori e di estimatori del genere letterario, in cui tutti si cimentano come autori e in pochissimi si propongono come lettori”, e delle “condizioni pessime per la scrittura (riferendosi per lo più alla poesia)”.
    Ma il fatto, forse stupefacente, è che la poesia è in crisi da secoli – forse, per motivi diversi, lo è sempre stata – e che essa, tuttavia, esiste ancora. E questo fa pensare.
    Certo oggi sta attraversando un periodo pieno di ‘pericoli’ molto più consistenti e pertinaci di quelli del tempo di Leopardi, quando ancora costituiva parte rilevante della letteratura, era conosciuta normalmente dai letterati, era soggetto di critica di alto e altissimo livello, la ‘parola’ era rispettata e l’unico vero limite era la scarsa alfabetizzazione delle masse dei possibili lettori.
    Al giorno d’oggi tutti sanno leggere, anche se leggono poco e male e sono aiutati in questo, come dice bene Emma Pretti, dalle scelte commerciali e dal mondo in cui tutti viviamo, così pieno di stress, di agognate distrazioni e di rincorse a facili letture.
    Il fatto è che, come in tutte le attività impegnative non remunerate e non di ‘passatempo’, i lettori di poesia, nonostante la crescita della popolazione e l’alto grado di alfabetizzazione, non sono molti, non molti di più che al tempo di Leopardi. Perché leggerla è più difficile che leggere un romanzo, richiede la riflessione del lettore, richiede che il lettore si ponga in una disponibilità di sintonia, seppure transitoria, con l’autore, s’immerga ‘seriamente’ in ciò che egli ha ‘visto’, e sia pienamente padrone dell’espressione linguistica, nelle sue varianti, nei suoi significanti e significati.
    Ma, personalmente, penso che un certo numero di lettori ‘di buona volontà’ ci sarà sempre, nonostante tutto, per questo genere letterario, anche nei tempi futuri. Sarà letta per lo meno da chi, di generazione in generazione, avvertirà, in certi periodi o in certi giorni, l’interiore esigenza di approfondire se stesso leggendo ciò che altri, uomini e donne, giovani e non più tanto giovani, hanno sentito e vissuto sulla loro pelle, leggendo ciò che altri hanno pensato del mondo, le riflessioni, i loro dubbi, le speranze e le disperazioni, secondo la loro sensibilità espressi con arte, con il rispetto per la parola – condivido in pieno ciò che dice Bruno Nacci al riguardo nel suo commento – e finalmente e indubbiamente umani.
    E di Nacci condivido anche che lo sguardo ‘limpido’ del poeta e il suo essere per la ‘parola ordinata’ non possono che derivare da una forma di volontario e consapevole isolamento. Isolamento che è la naturale e necessaria disposizione interiore di chi intende abitare nel fondo delle cose, nonostante la prassi epidermica generale del vivere, di chi intende amare la parola di fronte a un contesto che la bistratta, di chi intende, come indica Emma Pretti, “dire la verità, immaginarne una nuova o vanificare la pretesa di possederla”, in un ‘lavoro’ incessante, in una continua ricerca e correzione di rotta, che significa poi, nella sostanza, il vivere vero, qui e ora, dell’uomo.
    Emma Pretti ha indicato, tra quelle per le quali la poesia oggi è poco seguita, anche alcune motivazioni che coinvolgono direttamente i poeti e i loro modi di fare poesia. E anche queste ultime, verissime, dovrebbero far riflettere.

  6. Caro Alberto Mancini, in realtà una recondita preoccupazione si fa avanti, specialmente di fronte a certe fatti come quello che sto per raccontare.
    Quest’autunno alla presentazione del suo primo libro, una poetessa appena ventenne ha dichiarato di aver cominciato a scrivere poesie dopo aver letto Freud (sic!)e avendole chiesto da quali poeti era stata maggiormente influenzata e sentiva più vicini, ha abbozzato: – …beh, a scuola me li hanno propinati, mah….- facendo capire di non averne frequentato nessuno.
    Vorrei soffermarmi su quel raccapricciante “propinati”. Shocking vero? e anche di più, da mettersi le mani nei capelli.
    Se perdiamo i giovani, addirittura quelli che scrivono,perdiamo i lettori futuri, e questo potrebbe dar inizio a un fenomeno di desertificazione letteraria.

  7. Hai perfettamente ragione, Emma. Quel “propinati” è scioccante e “anche di più”. Il fatto è che la scuola è del tutto impreparata a fare diventare ‘educazione e formazione’ ciò che insegna o dovrebbe insegnare.
    A noi qui interessa il futuro della poesia, e viene da metterci le mani nei capelli quando ci si rende conto che il ‘senso’ della poesia nella scuola non è trasmesso ai giovani. Ma non viene loro trasmesso neppure il senso della letteratura in genere, il senso della storia, della filosofia, dell’arte, ecc.
    Per limitarci alla poesia, essa vi viene comunemente trattata come una serie di testi privi di anima, di musica,… dai significati da ricercarsi nelle note a piè di pagina e spesso soltanto dopo avere letto tutte le informazioni possibili sulla vita dell’autore, con tanto di date e di infiniti particolari di cui si richiede la memorizzazione, spesso inutili, almeno preliminarmente, alla comprensione vera dei testi.
    Una poesia di un autore che va a figurare in un libro di scuola – cioè di un autore almeno in parte già ‘selezionato’ dal tempo -, accanto agli aspetti della sua vita, del suo sentire e del suo vedere la realtà che lo circonda, riflette ben altro che il suo ‘particulare’. Riflette ciò che è l’uomo, quello che ‘sente’ e ‘vede’ almeno una volta nella vita, almeno in un certo giorno, in una certa situazione, ogni uomo.
    Nella scuola, a parte alcuni insegnanti, e ce ne sono – personalmente ho avuto la fortuna di incontrarne più di uno nella mia lontanissima vita di studente -, non si è preparati a fornire tutto questo, e la poesia viene appunto ‘propinata’ come una medicina dal sapore non gradevole e con molti e nocivi effetti collaterali. Per questo è raro che abbia una valenza di formazione per il giovane, anzi ne stimola la contrarietà e il rifiuto, che oggi, col mondo che viviamo e che hai così ben descritto, divengono spesso definitivi.
    A volte lo sconforto prende anche me, ma poi penso che la poesia, come tutta l’arte in genere, si voglia o no, è necessaria all’uomo, per il suo stesso equilibrio e la sua salute mentali.
    Non ne può fare a meno, perché, di generazione in generazione, non può fare a meno di qualcuno che lo aiuti a riflettere su se stesso, sul mondo, … e non può fare a meno della bellezza.

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