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Verso l’assoluto nulla: la “Filosofia della redenzione” di Philipp Mainländer secondo Fabio Ciracì

di Luca Ormelli

© INTERNATIONALE PHILIPP MAINLÄNDER-GESELLSCHAFT E.V.

Ricorreva in questi giorni (più precisamente il 17 ottobre) il centenario della volontaria scomparsa di Carlo Michelstaedter, il geniale goriziano autore de La persuasione e la rettorica, oggetto di continua revisione ed inarrestabile rivalutazione. Al contrario, su Philipp Mainländer, al secolo (diciannovesimo) Philipp Batz (1841-1876) nessun volume monografico è mai stato reso disponibile allo studioso italiano ovvero al semplice lettore di cose filosofiche. Eppure i due pensatori sono assai prossimi tra loro, certamente ben più di quanto la miope editoria italiana abbia voluto lasciar intendere.
A colmare la tonante lacuna ha provveduto Fabio Ciracì, Dottore di ricerca in Discipline storico-filosofiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce, allievo di Domenico Fazio e membro della Schopenhauer-Gesellschaft di Francoforte sul Meno e della Schopenhauer Forschungsstelle di Mainz con il suo magnifico elaborato: Verso l’assoluto nulla – La Filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, Pensa Multimedia, Lecce, 2006.

Il pensiero di Mainländer viene dapprima inquadrato nell’appropriato contesto storico-biografico, atteso che le vicissitudini della famiglia Batz, da sole, sono state oggetto di indagine sin dal giugno del 1891 in virtù dell’emerito Otto Hörth che «collaborò con Minna Batz (la sorella e vestale del defunto filosofo; sarebbe alquanto intrigante soffermarsi sulle interazioni psicanalitiche di celebri e celebrate sorelle auto-proclamatesi custodi del lascito di fratelli ben più famosi di loro e troppo presto accomiatatisi dal secolo: penso, ad esempio, ad Isabelle Rimbaud od alla ancor più ingombrante Elisabeth Förster-Nietzsche – nota di chi scrive) per circa sei anni alla prima pubblicazione degli scritti postumi di Mainländer, occupandosi del secondo volume delle opere del filosofo». Sia detto, a margine, che quando Minna, egualmente al fratello, si tolse la vita, fu lo stesso Hörth a «stilar(n)e personalmente il necrologio» [in Fabio Ciracì, Verso l’assoluto nulla – La Filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, cit., p.13]. Ciracì ci rammenta infatti come «una traduzione italiana (dell’articolo redatto da Hörth: Die Familie Batz-Mainländer, apparso sul “Frankfurter Zeitung” del 22 maggio 1891) si trova in La famiglia Mainländer in “Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia”, vol. 12, Torino, 1891» [ibidem], appunto questo fortemente significativo di quanto si andava sopra accennando.
Un discepolo di Schopenhauer fu Mainländer la cui teoresi pervenne ad esiti ancor più radicali e “definitivi”. Un autore, il francofortese, che conobbe breve ma intensa popolarità all’indomani del proprio suicidio avvenuto, con sorprendente conformità, come per Weininger (del quale, quanto meno, le opere sono reperibili, seppure a fatica, anche in lingua italiana) e Michelstaedter in prossimità della pubblicazione della propria opera, quasi che il suicidio coronasse (dovessi ricorrere a prestiti linguistici interdisciplinari direi “sublimasse”) la sterilità dei propri “creatori” in una impossibile fecondazione poietica. E’ la tesi che caldeggia Ines Testoni in un capitolo, intitolato programmaticamente “Il Dio suicida”, del suo La frattura originaria. Psicologia della mafia tra nichilismo e omnicrazia (Liguori, Napoli, 2008): «L’opera (Sesso e carattere di Otto Weininger ma, per esteso, l’opera dei pensatori testé menzionati – nota di chi scrive) godette di un larghissimo interesse tra gli intellettuali europei […] (ed) ha ancora il potere di infiammare» dice Antonini «quegli spiriti liberi e forti che ancora rimangono in una società spappolata, dissacrata, descritta dal Kali Yuga come epoca di decadenza estrema dello spirito e dei valori eterni dell’uomo» [p. 183]. Per proseguire poco innanzi: «L’Ottocento è il secolo che sviscera ciò che ha crocifisso il pensiero di Michelstaedter e la sua scelta suicida: la sostanziale falsità della “rettorica”, ovvero la “degenerazione mondana” con cui la razionalizzazione del pensiero filosofico ha mascherato il violento impulso “naturale” all’autoconservazione, impedendo così che esso venisse elaborato e superato. Se Weininger cerca di rintracciare l’essenza e il perché dell’esistenza in Delle cose ultime e la possibilità di far loro riferimento risolvendo le “aporie del simbolo” attraverso il ricorso al pensiero platonico, per Michelstaedter, come per Nietzsche, il male della parola è cominciato con Socrate e Platone, tanto che nulla può redimere il linguaggio dalla sua sostanziale falsità. […] La parola svuotata di senso è ciò che rende inafferrabile perché stare al mondo. E questo è certamente riscontrabile negli scritti sia di Michelstaedter sia di Weininger, i quali, forse affetti dalla famosa sindrome viennese, non potevano reggere al tramonto dei significati portati dalla parola che la perdita del riferimento alla verità comportava. L’operazione più difficile però è stata compiuta da un altro suicida rispetto al quale non è escluso che i Nostri siano sostanzialmente degli epigoni. Mainländer è infatti colui che ha più radicalmente inteso individuare il senso ultimo del volere la morte, incrociando appunto il neoplatonismo nonché la visione gnostica, per attribuire il senso più atroce alla “natura” che si esprime nel materno. […] Mainländer, con la sua “filosofia della redenzione”, anziché porsi la domanda “perché l’essere anziché il nulla” espone il problema del “perché dall’essere il divenire?”. […] Se Simone Weil dinanzi al dio cannibale che attende l’uomo perché gli restituisca ciò che gli appartiene sceglieva l’esercizio della lenta consunzione […], Mainländer aveva invece cercato la soluzione più inequivocabile. Dio non cerca di guarire dal male della creazione: la creazione non è stato un atto di generosità per dare esistenza all’imperfezione come unica entità che può pararglisi dinanzi quale alterità autentica. No. Il mondo esiste come momento iniziale del processo che realizza la volontà di Dio di annientarsi. Philipp Batz, in arte Mainländer*, è colui che teorizza la volontà suicida di Dio e dunque riconosce nel levar la mano contro di sé l’adesione ultima dell’uomo alla sua volontà. In questo quasi sconosciuto pensatore, si evidenzia la sostanziale impossibilità di dare senso all’esistenza e quindi non solo la difficoltà di vivere ma altresì quella ben più radicale che consiste nel dare la vita. […] Fenomenologo ante-litteram, per la propria posizione immanentista, egli esorta a studiare il mondo sensibile cercando in esso i princìpi che possono chiarirlo. Critico rispetto all’idealismo, attento al problema del socialismo e al messaggio cristiano (e, aggiungo io, alla predicazione buddhista), l’autore dei due volumi de La Filosofia della redenzione (1879, 1882), in cui si espone una discussione del pensiero di Kant e di Schopenhauer, fonda su tale posizione il tema della sofferenza umana intesa come il problema che muove il senso della vita, essendo convinto della noumenica inconoscibilità dell’unità precosmica (Vorweltliche) da cui deriva nel tempo il mondo come disgregazione originaria. Alla filosofia spetta il ruolo della verità intesa come fondazione scientifica dell’ateismo – “idealismo critico” – che, in opposizione alla fede, si annuncia dunque come redenzione, negazione schopenhaueriana della volontà che muove come destino l’umanità verso l’ultima liberazione necessaria: la pace del nulla» [ivi, pp. 184-186 – corsivo della stessa Testoni].

Ciracì, in mancanza di una versione italiana degli scritti di Mainländer, opera di cesello e bulino per offrire al lettore indigeno una panoramica quanto più possibile vasta ma filologicamente ineccepibile del pensiero del filosofo (nonché drammaturgo/poeta) tedesco, sezionandone il percorso secondo una precisa scansione metodologica; il volume è suddiviso infatti in sei differenti nuclei tematici, riproduzione fedele della diegesi teoretica dell’Autore stante il suo scritto principale:

1) Analitica della facoltà conoscitiva della “Philosophie der Erlösung
2) La fisica
3) L’estetica
4) L’etica
5) La politica
6) La metafisica.

Ultimata la lettura del saggio di Ciracì prendono forma alcune strabilianti analogie di Mainländer con Nietzsche, non ultima delle quali la “scoperta” di Schopenhauer, evento cruciale per entrambi i filosofi nella giovinezza del loro pensiero; un evento che Ciracì, puntualmente, registra: «Entrambi (Mainländer e Nietzsche) affermano di essersi imbattuti per caso nell’opera di Schopenhauer. Entrambi chiamano il Mondo il proprio “tesoro” e si sprofondano da subito in una lettura febbrile» [in Fabio Ciracì, Verso l’assoluto nulla – La Filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, cit., pp. 39-40].
E proprio Nietzsche, che mai riconobbe a Mainländer paternità di alcun proprio filosofema, ebbe a dire a proposito del pensatore di Offenbach-am-Main: «Abbiamo molto letto Voltaire; ora è la volta di Mainländer» [ivi, p. 152n; l’affermazione di Nietzsche è tolta da: Friedrich Nietzsche, Epistolario 1875-1879, Adelphi, Milano, 1995, Volume III, Lettera 573, p. 184]. Ancora più sprezzantemente Nietzsche si espresse ne La gaia scienza riguardo Mainländer: « […] il dolciastro apostolo della castità» [ivi, p. 266n; la citazione originale è parte dell’aforisma 357].
Ma Nietzsche non fu il solo ad interessarsi alla figura ed al pensiero di Mainländer, come evidenzia con solerzia e meticolosità Ciracì al termine della propria esposizione cui lascio, con infinito piacere, la parola ed il proscenio: «In conclusione, valutata da un punto di vista storico e filosofico, l’opera di Mainländer, da un lato, consente di mettere in rilievo le potenzialità di sviluppo implicite nella filosofia di Schopenhauer; dall’altro, permette di aggiungere un’altra tessera alla frammentaria Wirkungsgeschichte della “Schopenhauer-Schule” e di comprendere la natura di quel pensiero pessimista di cui più tardi si nutriranno filosofi e letterati della grandezza di Nietzsche e di Thomas Mann. In questa prospettiva, non sarà difficile comprendere e condividere quell’interesse che hanno nutrito per Mainländer scrittori, intellettuali e filosofi contemporanei, come Hans Carossa, Albert Caraco, Emil Cioran, J. L. Borges, Arthur Hübscher, Ludwig Marcuse; e spiegare quell’attenzione che un numero sempre maggiore di studiosi quali Ludger Lütkehaus e Ulrich Horstmann, Franco Volpi e Winfred H. Müller-Seyfarth vanno rivolgendo ad un giovane pensatore che ha pagato con la vita la coerenza al proprio pensiero» [ivi, pp. 369-370]. In nota, alla stessa pagina 369, al nome di Cioran Ciracì aggiunge a complemento: «Da studente ero stato indotto ad occuparmi di Schopenhauer. Fra questi vi era un certo Philipp Mainländer che mi aveva colpito in modo particolare. Autore di una Filosofia della liberazione (sicnota di chi scrive), possedeva inoltre ai miei occhi lo splendore che conferisce il suicidio. Mi vantavo di essere l’unico ad interessarsi ancora di quel filosofo, completamente dimenticato; del resto, non avevo in ciò nessun merito, dato che le mie ricerche dovevano condurmi inevitabilmente verso di lui. Quale non fu la mia sorpresa quando, assai più tardi, m’imbattei in un testo di Borges che per l’appunto lo traeva dall’oblio!» [ibidem – il luogo della citazione di Cioran è: Esercizi di ammirazione – Saggi e ritratti, Adelphi, Milano, 1995, p. 173]. Il testo di Borges cui l’eccentrico di Răşinari allude (ci rammenta Ciracì a pagina 370) è Altre inquisizioni: «Rileggendo questa nota, penso a quel tragico Philipp Batz, che nella storia della filosofia si chiama Philipp Mainländer. Fu, come me, lettore appassionato di Schopenhauer. Sotto il suo influsso (e forse sotto quello degli gnostici) immaginò che siamo frammenti di Dio, che all’inizio dei tempi si distrusse, avido di non essere. La storia universale è l’oscura agonia di quei frammenti. Mainländer nacque nel 1841; nel 1876 pubblicò il suo libro, Filosofia della redenzione. In quello stesso anno si dette la morte» [ibidem – il luogo della citazione di Borges è: Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano, 2000].

* Rivolgendosi ad un potenziale editore di Lipsia così scriveva Mainländer in alcune lettere affidate alla sorella Minna: «Io appartengo a coloro dei quali il mistico Tauler disse: loro si nascondono alle altre creature, nessuno può parlare di loro né bene né male. […] Dovrei perciò chiederLe cortesemente di darmi la Sua garanzia di non nominarmi mai come l’autore della “Philosophie der Erlösung”. Naturalmente Le rivolgo la stessa cortesia, nel caso in cui Lei dovesse respingere l’edizione dell’opera. Per questo lavoro io sono Philipp Mainländer e voglio che ciò sia sino alla morte e per tutto il tempo a venire”» [in Fabio Ciracì, Verso l’assoluto nulla – La Filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, cit., p. 59].

7 thoughts on “Verso l’assoluto nulla: la “Filosofia della redenzione” di Philipp Mainländer secondo Fabio Ciracì

  1. Sulla morte di Michelstaedter, però, vorrei ricordare una confidenza che mi fece il grande poeta friulano Amedeo Giacomini, poco prima della sua morte, e che mi chiese di non rivelare finché fosse stato vivo. Giacomini, che conosceva benissimo l’ambiente culturale del FVG e conosceva anche persone che furono vicinissime al filosofo goriziano, mi disse che la tragica decisione di togliersi la vita era strettamente collegata, in realtà, all’aggravarsi di una tremenda (e allora incurabile) forma di sifilide. Malattia che Michelstaedter non volle confessare a nessuno e su cui la famiglia preferì, poi, mantenere sempre un silenzio assoluto. Non so se la cosa corrisponda alla realtà ma Giacomini era persona sincera fino alla crudeltà e non parlava mai tanto per parlare. Ovviamente questo non toglie nulla alla genialità di questo autore ma forse getta un po’ di luce su di un filosofo straordinario in cui la tragica biografia, il mito della suafine, rischia spesso di oscurare la sua grandezza come pensatore.

  2. Scrive Fabio Ciracì riguardo Philipp Mainlander “…possedeva inoltre ai miei occhi lo splendore che conferisce il suicidio.”
    Sono molti gli esteti che esibiscono simili espressioni,ma si guardano bene dall’immedisimarvisi nella realtà. Tipico esempio il nostro “illuminatissimo” Massimo Cacciari,grande appassionato del “Suicidio e della Follia altrui”; ma nella pratica “astutissimo” Intrigante Politico che persegue il Successo con tutti i trucchetti e miserie della filosofia ridotta ad “ancilla” del Potere dei suoi Padroni che lo pagano perchè sia sempre “lacché”. Ho invitato Cacciari ad anticipare “profeticamente” il Suicidio Universale dell’Umanità…ma Lui fa orecchie da mercante.
    Cliccare: cacciari suicidio universale (Indymedia “Cacciari e il Suicidio (degli altri)”).
    Giuseppe Maini argos

    • Gentile Maini, nel ringraziarla del Suo gradito commento al mio post mi arrogo la facoltà di prendere (bonariamente s’intende) le difese in vece di Fabio Ciracì del quale non son degno succedaneo ma tant’è (Fabio, qualora lo volessi la porta del commento è sempre aperta): non egli è l’autore delle parole da Lei, gentile Maini, riportate in apertura del Suo intervento “riguardo Philipp Mainländer” bensì Emil Cioran (come peraltro credevo di aver evidenziato nel mio scritto; ho dunque peccato di opacità comunicativa e me ne pento). Il buon Fabio Ciracì è del tutto innocente in merito. Un cordiale saluto.

      • Vi è stato un malinteso da parte mia fra Cioran e Ciriacì. Comunque la mia critica non riguarda la persona dello studioso Ciriacì,ma l’ espressione di Cioran che è molto enfatizzata da intellettuali-esteti,a cui in anima non interessa alcunchè della tragedia spirituale di altri,se non per confezionare libercoli. Un esempio l’ho riportato con nome e cognome…grande alleato politico di Luca Cordero di Montezemolo per far rifiorire l’Italia e l’Europa.
        Giuseppe Maini argos

  3. All’acuto e facondo contributo di Luca Ormelli (e quindi di Fabio Ciracì) mi permetto di suggerire anche la lettura di Eduard von Hartmann.
    Questo pessimista eudemonologico ha avuto il merito di spostare l’accento dalla (filosofia della…) “redenzione” all'”inconscio”, pur sostando nella convinzione che il non-essere sia da preferire all’essere.
    Convinzione, da notare, che non necessariamente approda all’idea del suicidio fisico, ma che è una sorta di “imprimatur” filosofico in tanti pensatori del calibro di Cioran o Caraco (giustamente citati) ma anche Leopardi e Stirner.

    • Ringrazio Giuseppe della meditata lettura del mio articolo e della preziosa integrazione proposta. Indubbiamente tra i discepoli di Schopenhauer posizione preminente fu quella occupata da von Hartmann non foss’altro per la codificazione di quell’«inconscio» cui illustri posteri hanno in seguito attinto e con ben altro genio glossato. Ancora grazie e a presto. Luca Ormelli

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