Saggi

Dalla critica del ‘paradosso meccanicista’ del romanzo “Brave New World” all’ideale della rappresentazione cubista

Fernand Leger- Nudi nella foresta

  di Fabio Atzori*

E’ certamente un controsenso  tacciare il romanzo BNW di scarsa qualità letteraria o rinfacciare ad Aldous Huxley una limitata perspicacia rispetto all’avvento dell’era atomica. La lungimiranza della sua analisi infatti sembra averla spuntata sulla faciloneria di una certa critica letteraria, che dobbiamo necessariamente ritenere intaccata  dalle insidie  di una stasi  ideologica.

BNW propone  un  raro modello di letteratura parallela al contesto della pittura avanguardistica dell’epoca,  non privo di riferimenti all’attualità.  Sotto questo profilo l’opera si pone ad una distanza considerevole rispetto alla tradizione umanista storicamente insensibile alle priorità della comunità scientifica. I rapporti fra Arte e Scienza, prima ancora che su eventuali raffronti sul piano metodologico, avrebbero  allora dovuto intensificarsi in virtù di un’intesa comune.

Questo mancato sodalizio fra artisti e scienziati  avrebbe potuto individuare i suoi presupposti già nel vincolo etimologico fra le voci  in questione. Vi è infatti una curiosa corrispondenza fra il principio del ‘fare artistico’ , la cui radice proviene dal sanscrìto ‘ar’ (= muovere verso, avvicinarsi) , e il termine greco tèchne; analogia andata pressoché perduta nel corso dei secoli a favore delle comuni accezioni del linguaggio moderno sempre più spesso agganciato al senso di contenuti divergenti da quello originario del movimento. Là dove vige il ferreo ideale della programmazione meccanica, della precisione e dell’ordine, le tendenze aleatorie della vocazione artistica sembrano porsi come minaccia piuttosto che come risorsa. Dall’esigenza di operare un controllo pressoché assoluto sulle dinamiche della fenomenologia biologica, sui cicli, sulle mutazioni della natura, nasce nella cultura moderna il falso convincimento di poter padroneggiare le sorti del mondo attraverso le leggi di una disciplina che si vorrebbe retta da un principio assoluto di efficienza tecnica e sulla asciutta capacità di programmazione.

L’arte, naturalmente, identificata soprattutto nella ridondanza delle sue pulsioni caotiche non può che raffigurare l’esatto contraltare di questa atavica necessità  di iper-controllo. Per questo motivo la deriva del primo significato della parola arte ha finito col innescare fortissimi dubbi sulla possibilità di una contaminazione ideologica.

Intorno alle debolezze di questo dualismo di pensiero Aldous Huxley costruisce, in forma anti-utopistica, i meccanismi ordinati della società del futuro. Con lo stile del paradosso tratteggia le caratteristiche del modello sociale tecnologicamente avanzato, affresco fedele del teorema deterministico. Il ‘mondo nuovo’ di Huxley riduce il prodotto dell’evoluzione della specie concepita a ‘freddo’ [1], a un regime formalizzato da criteri d’ordine ritenuti ‘superiori’, ma in definitiva drammaticamente omologanti. In esso è descritta la fase più prossima e consequenziale di un sistema di regole che pone al suo vertice le priorità della pianificazione ‘intelligente’ e un controverso concetto di sviluppo conforme a determinazioni che, anziché il progresso, porterebbero la specie sul baratro dell’estinzione. In questo contesto dobbiamo supporre anzitutto che l’autore di BNW conoscesse assai bene le leggi della fisica classica e ne intuisse i limiti applicativi; se ne evince, pertanto che le vicende del romanzo intendessero rappresentare solo la fisionomia  sociale di un modello ai confini del paradosso.

Nella società perfetta della Londra pseudo avveniristica di Huxley ritroviamo infatti l’esatto schema di un ordinamento edificato sulle approssimazioni della meccanica newtoniana e cioè secondo la precisa relazione di causa-effetto  fra gli elementi, relazione in Natura inesistente (dal momento che lo spostamento delle particelle atomiche, come vedremo più avanti, è risultato prevedibile solo in termini di probabilità). La scienza non è qui intesa come indagine e volontà di esplorazione ma solo come costante applicativa di norme predefinite sui dettami di un Sapere assoluto e monolitico che ha tagliato tutti i ponti con le passioni artistiche e con le intemperanze dell’istinto.

E’ necessario a questo punto ripercorrere la storia delle avanguardie pittoriche di inizio secolo per ritrovare una contestazione altrettanto decisa delle formalizzazioni meccaniciste. Vediamo allora che l’intento a cui si ispirano gli autori è sempre lo stesso, l’interpretazione figurata del movimento .

Negli  anni a cavallo fra  XIX e XX secolo difatti la fisica concentrava enormi sforzi nel tentativo di codificare le proprietà dinamiche dei corpi, nel cercare cioè di comprendere l’attitudine delle particelle a spostarsi nello spazio, e a cercare di calcolarne la traiettoria, nella chiara consapevolezza di non disporre, nelle linee guida del formalismo accademico tradizionale, l’opportunità di giungere a soluzioni praticabili. Le leggi della gravitazione universale (UGL) avevano certamente individuato alcuni risultati corretti per quanto concerne i corpi inerti, ma senza porre le necessarie prerogative di metodo  per l’intero  campo d’indagine dello studio che si intendeva portare a compimento, ovvero quello sull’origine  e sulle determinazioni di moto di tutti i corpi. Le UGL  non risultarono poi così cruciali  ai fini di una  rappresentazione unitaria  del fenomeno movimento, aprendo il vero contenzioso filosofico col problema del ‘divenire’.

Di diversa natura si rivelarono invece gli studi sui quanta che posero solide basi per una comprensione, ad ampio spettro, delle modificazioni sistemiche legate ai condizionamenti naturali. Col principio di indeterminazione dell’ elettrone – che valse a Werner Heisenberg il premio Nobel – venne fatto un notevole passo in avanti, sebbene il problema fosse stato preso in considerazione da pittori e musicisti[2]  già molti anni prima dell’onoreficenza riconosciuta al fisico di  Würzburg.

Giovanni Papini,  figura di spicco del movimento futurista in Italia, riassume i termini della questione (in polemica coi redattori  della rivista Lacerba), con queste significative parole: “ Una donna, una merda, una patata, sono egualmente capaci di dare un capolavoro pittorico. La pretesa di voler rendere il moto con l’immobilità è simile a quella dei musicisti che vorrebbero rappresentare realisticamente i paesaggi  o le scene di vita con le correnti armoniche dei suoni.” Egli manifestava dunque un netto distacco da quelli che erano gli obiettivi dei creativi, musicisti o pittori che fossero, e allo stesso tempo forniva l’indiscutibile  testimonianza della spiccata sensibilità degli artisti per il problema del moto. Troviamo un’intuizione analoga  anche nei numerosi contributi divulgativi di Werner Heisenberg:

I diversi stili dell’arte sono un prodotto arbitrario della mente umana?”  domanda retoricamente il fisico. Poi imposta la risposta: “Anche qui non dobbiamo essere sviati dalla partizione cartesiana. Lo stile nasce infatti dall’interazione fra noi e il mondo… L’artista tenta con la sua opera di rendere comprensibili codesti aspetti e in questo tentativo è avviato alle forme dello stile nel quale lavora. Perciò i due processi, quello della scienza e quello dell’arte, non sono molto diversi. Sia la scienza che l’arte danno forma nel corso dei secoli ad un linguaggio per mezzo del quale l’uomo può parlare della parti più remote della realtà, e le serie coerenti di concetti, come i diversi stili dell’arte sono le diverse parole o i diversi gruppi di parole di questo linguaggio. ”  Ed ancora: “Uno stile artistico può esser definito anche con regole formali applicate al materiale di quell’arte in particolare. Può essere che codeste regole non siano rappresentate nel senso stretto del termine da una serie di equazioni matematiche, ma i loro elementi fondamentali sono in stretta relazione con gli elementi essenziali della matematica.”

In questa prospettiva il lavoro degli artisti si propone una prima analisi del problema del ‘divenire’ connesso ai concetti dello spostamento delle particelle atomiche, della mutazione, e della variabilità degli elementi. La corrente impressionista2 a metà Ottocento si rivolgerà ad esempio allo studio dei condizionamenti dei colori, ramo dell’ottica in cui la prospettiva newtoniana palesò difficoltà abissali. La contestazione a tutto campo del paradosso meccanicista prospettato da Newton, sembra quindi voler  esacerbare le incognite derivanti dalle procedure che affrontano la questione del ‘divenire’ secondo parametri omologanti, ovvero secondo una formula semplificativa della realtà costruita sui teoremi dell’induzione matematica, sull’uso dei piani euclidei e della geometrizzazione degli spazi considerati  risolutivi nell’indirizzo standardizzante. In parte questa concezione si è rivelata corretta, ad esempio per quanto concerne gli studi sulla gravitazione, anche se è innegabile che la rivoluzione scientifica innescata dalle scoperte sui quanti ha postulato e messo a nudo il suo esatto margine di manovra e, con esso, tutti i limiti metodologici della rappresentazione classica.

Il principio di ‘indeterminazione’ di cui si è detto, indica infatti che non è possibile definire contemporaneamente la posizione di un elettrone (in termini di coordinate cartesiane) e la sua velocità di spostamento, nel cui calcolo, com’è noto rientra anche la variabile tempo.  La posizione dell’elettrone potrà allora definirsi solo in termini di  ‘probabilità’.

MI preme sottolineare il concetto di ‘probabilità’ della definizione tecnica, perché sorprendentemente, diversi secoli prima, esso era stato anticipato dal matematico Blaise Pascal: “Per mezzo della Probabilità dovete darvi cura di cercare la Verità.”3  Pascal  non disse, ‘per mezzo della matematica o della geometria’,  discipline che credo conoscesse assai bene, ma  parlò solo di probabilità. Questo fatto induce alla stupore perché – come tutti sanno – Blaise Pascal è considerato , con Monsieur Pierre De Fermat, l’autentico precursore della moderna teoria dei numeri e del calcolo probabilistico di cui si serviranno gli scienziati quantistici per definire formulazioni precise delle loro straordinarie idee.

La meccanica quantistica estende l’orizzonte della scienza alla prospettiva,  prima trascurata, dell’analisi del moto entro il contesto dei condizionamenti esterni. Tener conto degli influssi che interagiscono con un corpo significa perciò operare in termini probabilistici e stabilire un criterio relazionale fra gli elementi che la meccanica tradizionale ignorava o non riteneva importante. Diversi impianti analitici sono retti dalla prospettiva causale che teorizza la precisa ripetizione del fenomeno  al ripresentarsi  delle medesime condizioni di partenza. In seguito questo principio  vincolerà  per molto tempo ogni ragionamento alla concezione (superata) della reversibilità temporale.

L’aritmetica e la geometria esatta, appiglio irrinunciabile del cartesianesimo,  ponevano invece il ‘mondo delle relazioni’ in secondo piano rispetto al rigore descrittivo, contribuendo a dilatare le distanze dai problemi connessi all’analisi del movimento.  Il corpo umano insomma, e le traiettorie segnate dai  cicli dell’attività degli esseri viventi (e perfino quelle dei corpi astrali4) appaiono dunque risultante di complessità sistemiche condizionabili e condizionanti.

Tuttavia è nel campo dell’ottica che questa concezione di funzionalità sistemica manifesterà i punti labili dell’ impostazione newtoniana. Già rispetto agli studi sui colori primari Newton, contandone sette ( al posto di tre), era stato tratto in errore. Hermann von Helmholtz5 lo contraddisse, riducendo a tre (rosso,verde e blu) la loro ripartizione preannunciando gli esiti dei successivi studi di fisiologia dell’occhio umano. Per lo studioso Isaac Newton invece  i colori sono lì fuori, nel mondo e negli oggetti e le loro cause fisiche vanno ricercate nella natura della luce. Da questo assunto se ne evince quanto egli fosse poco interessato ai rapporti fra le cose e quindi  alla possibilità che i colori potessero addirittura influenzarsi fra loro e variare la percezione visiva. I primi ad accorgersi che le cose non andavano esattamente nella maniera descritta dal fisico inglese furono ovviamente coloro i quali i colori li adoperavano per mestiere e cioè i pittori e, in genere, gli artisti. In un ristretto giro d’anni Jakob LeBlon (1730), Tobias Mayer (1758), Johannes Lambert (1772), Moses Harris (1766), Philip Otto Runge (1810) lavorarono tutti all’analisi ed alla classificazione dei pigmenti colorati. Pensiamo, per fare un esempio, a due orme collocate una sopra l’altra (magari un triangolo e un quadrato) oppure a due quadri disposti uno a fianco dell’altro: le due forme, grosso modo, restano invariate, non è invece infrequente che la percezione di due colori vicini crei delle vere e proprie alterazioni – per esempio, un blu posto accanto a un rosso acceso inclina verso il verde. Il contesto, nel caso dei colori, alcune volte fa la differenza come ben compresero gli impressionisti francesi.

Anche in questo caso l’impostazione scientifica meccanicista, e quindi tradizionale, induceva la comunità scientifica a sminuire il significato del criterio relazionale e a promuovere le basi di un paradigma oggettivante del tutto incoerente con i risultati dell’esperienza pittorica.  Il superamento di quello che sembra un paradosso porterà la vivace comunità  degli artisti sul posizioni e ideali che daranno vita alle avanguardie del Novecento e in particolar modo alle concettualizzazioni del cubismo.

L’irresistibile impulso dell’arte non è che la rivelazione del fattore compositivo, o se vogliamo, è quello di svelare le leggi destinate a guidare l’emancipazione culturale della società. Questa è la forza che ha polarizzato ed ancora oggi polarizza l’ingegno artistico  verso un’unica meta e un unico risultato espressivo. Si parte dalla premessa che vuole l’intelletto  spontaneamente attratto dalle forme con fisionomia regolare. Questo fatto è ineluttabile e ciascuno di noi potrà trovarne facile conferma  nell’osservazione di  un’opera d’arte classica o rinascimentale. In generale quindi, tutto ciò che richiama i contorni di una figura geometrica regolare  affascina, sia che faccia parte della natura, sia che provenga dall’immaginazione umana.

Per questo motivo, nelle diverse epoche, gli artisti hanno usato il triangolo (sovente equilatero) come base della composizione, passando via via a forme geometriche più complesse, col risultato di arricchire il contenuto dell’opera di un nuovo elemento, quello del numero, ossia del suo elemento astratto. Nella ricerca dei rapporti astratti al numero è affidata un funzione di particolare rilievo. Ogni formula matematica tuttavia è fredda e salda come la necessità . Nel movimento cubista, per l’appunto, viene dato rilievo alla necessità di voler esprimere in una formula, che è espressamente matematica, l’elemento compositivo.  Un tale formalismo freddo e geometrico porta però a disintegrare, fino al limite estremo e con perfetta coerenza,  il nesso materiale fra le varie parti di una cosa. In altri termini il cubismo vede nella matematica l’elemento disgregante della relazione fra i corpi. La pittura deforme e disarticolata del cubista per antonomasia, Pablo Picasso, sembra allora concepita proprio allo scopo di  rappresentare gli effetti di questa intuizione.

Troviamo così  nell’ideale cubista, più  che in altri, il vertice assoluto della critica ai metodi della formalizzazione scientifica classica. Qui il modulo della rappresentazione è il cubo, figura geometrica regolare per eccellenza. Rompere le relazioni fra le parti costituenti di un oggetto o di una persona che si vuol raffigurare, non facilita pertanto la comprensione della relazione essenzialmente dinamica dell’elemento stesso con l’ambiente.

Senza un adeguato procedimento d’indagine che tenga in debito conto degli influssi reciproci e dell’interazione fra gli organi e gli elementi costitutivi di un sistema e i condizionamenti di questo con altre strutture,  non si potrà quindi concepire il senso del movimento o  il più profondo significato del divenire.

*Fabio Atzori svolge l’attività di terapista della riabilitazione, ma aspira a diventare pittore.  Ha operato inoltre come terapista didattico presso la scuola per fisioterapisti dell’Aias di Cagliari, insegnato  nei corsi regionali per la formazione alle professioni sanitarie e scritto diversi articoli di carattere scientifico presso le case editrici Edi-Ermes ed Editrice Speciale Riabilitazione, collaborando inoltre con quest’ultima per due anni come disegnatore satirico-umoristico. Dai lavori pubblicati e dall’esperienza professionale ‘sul campo’  ha tratto gli spunti per la  stesura dell’articolo postato su questo blog.


1 l’espediente della genetica in provetta anticipa i fallimenti del Genome Human Project di Renato Dulbecco e soci, il vero mostro ideologico sfuggito all’ immaginazione dei letterati.

2 Essi sperimentavano direttamente le reazioni fisiche dei colori sulla percezione senza  subire pressioni  dell’accademia scientifica  alla quale invece rivolsero motivate e vivaci contestazioni. La storia,  a quanto pare, diede loro ragione.

3  Pascal – Pensieri.  Titolo originale pensèes. (pag 64) Giunti edit. 2009

4 L’irregolarità dei loro percorsi, o delle  traiettorie quasi-geometriche, è  aggiustata attraverso l’introduzione di coefficienti .

5 Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz (Potsdam, 31 agosto 1821 – Berlino- Charlottenburg, 8 settembre 1894) è stato un medico, fisiologo e fisico tedesco.

50 thoughts on “Dalla critica del ‘paradosso meccanicista’ del romanzo “Brave New World” all’ideale della rappresentazione cubista

  1. Ho trovato interessante il post, perché mette in relazione degli ambiti, che sotto un’ottica illuministica, corruttrice e seviziatrice del modo di pensare, non dovrebbero avere alcun rapporto tra di loro. Svela il fallimento del tentativo di spiegare la complessità della realtà, scomponendola in sottoinsiemi asettici e non comunicanti tra di loro.

  2. L’autore di questo pezzo sembra avvicinarsi al punto di vista del filosofo Marco Vozza.Suo il seguente pezzo tratto da LA STAMPA del Gennaio 2000 : “ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISEMBERG, LO SCIENZIATO OSSERVA IL COMPORTAMENTO DEGLI ELETTRONI ALLO STESSO MODO IN CUI CEZANNE POSE IL SUO CAVALLETTO DI FRONTE A SAINT-VICTOIRE,CONSAPEVOLE DELL’INEVITABILE RELAZIONE DI INCERTEZZA DETERMINATA DAL SUO PUNTO DI OSSERVAZIONE.LA CONVINZIONE CONDIVISA DAGLI SCIENZIATI E DAGLI EPISTEMOLOGI NOVECENTESCHI E’ DUNQUE CHE LA PERCEZIONE ESTETICA COSTITUISCA UN ELEMENTO FONDAMENTALE NELLA DIALETTICA DELL’IMMAGINAZIONE SCIENTIFICA E UN CRITERIO DISCRIMINANTE NELLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI.”Mi domandavo se Fabio Atzori avesse letto qualcosa del prof.Marco Vozza.

  3. No, purtroppo mi trovi impreparato. Cercherò di colmare al più presto le mie lacune sul filosofo marco vozza. Avrei in serbo un appuntino sulla citazione che hai riportato però, prima di esprimermi, cercherò di approfondire meglio il pensiero del professore.

  4. Scrivo un altro commento per comunicarti che il tuo post, mi ha indirizzato alla rilettura di un vecchio libro comprato più di 30 fa, “L’origine della conoscenza e dell’immaginazione” di Bronowski.
    Il motivo dell’associazione al tuo articolo sta nel fatto che anche Bronowski pur partendo da consce e fiere posizioni evolutive –illuministe, dimostra di avere una grande capacità critica, e in qualche modo appoggia la tua ipotesi di ricerca di relazioni, e il tuo interesse per la fisica quantistica; afferma che la storia della conoscenza è una continua crescita di connessioni e collegamenti; l’immaginazione consiste nel prendere due parti dell’universo che non erano mai state messe insieme, ponendone in luce il rapporto.
    Aggiunge “Così voglio dichiarare subito che, per me, la cosa più interessante dell’uomo è che si tratta di un animale che pratica l’arte e la scienza, e che, in tutte le società conosciute, le pratica assieme.”
    Critica kant a causa della sua deriva avvenuta all’incirca nel 1768 determinata dalla lettura di un lavoro di eulero (é considerato il più importante matematico dell’Illuminismo) che si proponeva di dimostrare che lo spazio è assoluto, come era stato suggerito da newton e non già relativo come suggeriva invece Liebniz.
    La conseguenza di ciò e che tutti noi siamo stati afflitti da questa idea, che il mondo esiste e che i nostri modi di percepirlo non influenzano gran che il nostro modo di interpretarlo: che insomma, noi siamo in grado di afferrare la natura del mondo senza preoccuparci molto dell’apparato che adoperiamo; indubbiamente l’illuminismo con queste affermazioni a favorito una base falsa a tutte le ricerche successive.
    Sempre sullo stesso argomento Luria nella prefazione del libro scaglia un’altra bomba contro gli illuministi-newtoniani quando dichiara che le misure fisiche non sono assolute perché i loro limiti sono ridicolizzati dalla meccanica quantistica.

  5. @Fabio.Uso il maiuscolo perche’ non c’e’ possibilita’ di scrivere in corsivo.Pero’ a volte ho visto commenti in corsivo.Forse sono l’unica a non sapere come si fa.boh!?!

  6. @ alfonso. Tu mi stuzzichi con riferimenti piuttosto azzeccati, ma non facili da commentare in questi spazi. Proverò a concentrarmi sul tuo primo intervento con una citazione tratta da un testo del professor MarcoVozza (autore di cui apprendo dalla blogger Tiziana), che francamente mi ha lasciato di stucco. Date le premesse, se tieni alla salute del tuo impianto epatico, ti consiglierei vivamente di non leggere Esistenza e interpretazione (sempre del prof. Marco Vozza) specie a pagina 45, dove sta scritto:
    ” …qualche anno dopo Paul Valèry riproporrà l’utopia illuministica di una riconciliazione fra arti e scienze…”. Anch’io trovo agghiacciante che si possano affrontare simili disamine senza incorrere in alcun contraddittorio accademico. Se avrai un po’ di pazienza ti risponderò più dettagliatamente nel prossimo commento indirizzato a Tiziana. Ciao e grazie per la considerazione.

  7. @Fabio, per me l’unico imperativo è oziare oziare sempre di più, i tempi della tua risposta andranno sicuramente bene. prendi tutto il tempo necessario per rispondermi.
    Toccando l’argomento “OZIO” penso che ci stiano bene queste due righe.
    “Il diritto alla pigrizia” del 1833 scritto da Paul Lafargue.
    Un piccolo estratto “le nostre macchine, con alito di fuoco, con braccia di acciaio incombustibile, con meravigliosa e infinita abbondanza, eseguono con disciplina il loro santo lavoro. E ciò nonostante, l’indole dei grandi filosofi del capitalismo continua a essere dominata dai pregiudizi del sistema salariale, la peggiore delle schiavitù. Ancora non capiscono che la macchina è la salvatrice dell’umanità, il dio che libererà l’uomo dall’essere vittima del lavoro, la divinità che gli concederà l’ozio e la libertà”
    Invece nel XXI secolo ancora il lavoro è sentito come l’unica strada per uno sviluppo completo della personalità umana. In questa definizione conservatori e progressisti pur con motivazioni diverse sono concordi: gli uni hanno sempre pontificato riguardo alle virtù morali del lavoro duro, gli altri, concentrati nei terribili effetti della disoccupazione di massa, propongono “più lavoro” come soluzione principale contro la crisi.
    Ma se non si riduce il lavoro e si aumenta il benessere per tutti, che senso ha continuare a tenere in piedi questa cultura, se già da quasi due secoli non sono diventati reali i pensieri di Lafargue?

  8. No, no Alfonso, c’è un equivoco. Conservatori e progressisti non intendono aumentare il lavoro oltre la soglia deterministicamente quantificata dalle esigenze della iper-produzione, questi meschini vogliono solo più lavoratori in modo da abbattere il potere di contrattazione operaio e portare a livelli massimi la rendita dello sfruttamento. Non fanno altro da trecento anni a questa parte nè altro saprebbero pianificare in fede ai criteri meccanicisti che hanno impresso al ‘progresso’. Così si sono formate le aree-serbatoio del sottosviluppo. Ma ora anche queste vanno esaurendo il loro gettito di risorse umane così non dovremmo meravigliarci tanto se nei prossimi anni assisteremo ad una progressiva africanizzazione del compartimento geografico sud europeo. Altro che ozio. Prepariamoci a lavorare tutti di più con compensi inferiori. Questi sono i parametri, a prescindere dal lavoro.

  9. Senti alfonso mi pare che col corsivo hai le stesse difficoltà di tiziana. Siccome il commento in cui spiegavo come fare è in moderazione da giorni vi riporto la lezioncina che a suo tempo mi diede il paolo ferrucci sul blog ‘Cazzeggi letterari’ post Baila Moreno del 26 gen 2012.
    1. Bisogna inserire certe formulette, che vanno (bada bene) inserite fra due simboli*(freccette), come se fossero virgolette:
    le formule sono:
    – per il corsivo: em (posto all’interno di quelle freccette) a inizio parola, e /em (posto all’interno di quelle freccette) a fine parola.
    -per il grassetto: strong (posto all’interno di quelle freccette) a inizio parola, e /strong (posto all’interno di quelle freccette) a fine parola.
    Le formulette vanno attaccate alla parola, o alla frase, senza spazi.

    *Non ti scrivo le formule complete di freccette, perché (per la legge dell’html) non comparirebbero e quindi non capiresti.
    Avvertenza importante: quando devi chiudere il corsivo o il grassetto, non dimenticare di mettere la corretta formula di chiusura, perché se non la metti o la sbagli, il testo resterà corsivo o grassetto fino alla fine! Addirittura in splinder, ricordo, se qualcuno faceva quest’errore, tutti i commenti seguenti al suo venivano in grassetto o in corsivo: un vero guaio).

    * i due simboli, affiancati, non compaiono (per la legge dell’html). Essi sono nello stesso tasto . Ne scrivo uno perché l’altro non compare, ma immagino che capirai facilmente:
    il simbolo, sul tasto associato al suo opposto è: <

  10. @tiziana. Finalmente son riuscito a consultare due libri del Professor Marco Vozza*. Per quanto concerne lo stralcio che mi hai proposto (commento del 12 luglio), posso dirti che – a mio parere – egli usa un linguaggio attraente ma in sostanza si pone a distanze abissali dal contenuto del mio post. Dopo una breve documentazione posso dirti che il pensiero del Vozza non solo è distante, ma che scantona in concetti addirittura fuorvianti rispetto a quanto avessi intenzione di comunicare.
    Ad esempio a pag 83 del suo libro ‘Le forme del Visibile’, egli afferma: “L’idea che il mondo naturale possieda caratteristiche estetiche come l’armonia, la simmetria l’euritmia , la semplicità è indubbiamente di discendenza pitagorica, la quale attraverso Platone giunge agli artefici della prima rivoluzione scientifica per poi conoscere una fortunsa cospiqua presso gli scienziati del XX secolo…”. Egli conferma dunque , in due semplici righe, di ignorare del tutto la posizione di Heisenberg rispetto Platone * . Inoltre l’idea che il mondo naturale sia ‘simmetrico’ e ‘semplice’ sarà forse del Vozza ma non della scuola Pitagorica che nella trasposizione numerica non intendeva di certo individuare una scorciatoia/semplificazione con cui indagare i fenomeni della Natura ma solo un metodo. Pitagora considera i rapporti fra numeri delle formule estremamente complesse, quindi non esenti da incertezze, ecco perché – come tutti sanno – i pitagorici non si accontentavano di una formula dedotta ma andavano sempre ad indagare , numero per numero, la prova assoluta di un principio matematico. Molto istruttivo a questo proposito il libro di Simon Singh, Fermat’s last theorem. Già quattrocento anni prima di Cristo si sapeva dunque che il ‘criterio deduttivo standardizzante’ comporta procedimenti di calcolo estremamente fallibili e che, pertanto, occorrono sempre opportune verifiche . Verifiche che ai tempi costavano anni e anni di ininterrotti calcoli svolti a mano da parte dei ‘poveri’ allievi della scuola. L’assunto del professor Vozza appare inoltre in forte contraddizione anche con la rappresentazione quantistica, per la quale regolarità e simmetria sono concetti assolutamente fumosi in relazione alla esuberanza indeterministica della realtà. Molti autori come O. Wilde, o più recentemente PPPasolini (l’altro giorno vedevo ‘Medea’ e sono rimasto impressionato da una frase del centauro:le cose (realtà) sono molto più complicate (indeterminabili) rispetto ai pensieri.) , dimostrano, un’ estrema e rassicurante coerenza nel riconoscere questo sottile distinzione fenomenologica fra realtà e immaginazione (procedimento di astrazione che si poggia sull’induzione educativa e dunque sottende sempre ai modelli, le formule e gli ordini appresi a scuola dall’educazione indotta indubbiamente di indirizzo meccanicista).

  11. @alfonso.@Tiziana. Più defilato e sottile invece il contenuto di una nota (nello stesso testo Esistenza e interpretazione), a pagina 46: ” Martin Kemps, uno dei massimi studiosi di Leonardo Da Vinci, sostiene l’equivalenza della creatività nell’arte e nella scienza, la loro comune identità nell’essere orientate alla realizzazione di oggetti comunicativi che differiscono soltanto rispetto ai loro strumenti e scopi funzionali attraverso l’analisi della teoria prospettica da Brunelleschi a Tuner, fondata sulla scienza dell’ottica geometrica, seguendo poi l’evoluzione della teoria della percezione e infine di quella dei colori della dottrina newtoniana fino al progetto impressionista di dipingere con la luce.. (M.Kemps ‘La scienza dell’arte. Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat.’. Giunti Ed. Firenze 1996).
    Sugli strafalcioni dell’ottica newtoniana abbiamo detto abbastanza sul post, figuriamoci quanto può valere, per me, una tesi che poggia su tali presupposti. Oltretutto si omette bellamente di specificare quanto importante sia stato il contributo degli impressionisti alla critica dell’indottrinamento newtoniano. Far passare poi un legame di continuità fra ‘dottrina newtoniana’ e ‘progetto impressionista’ mi sembra francamente un pasticciaccio! Pertanto Alfonso, se ci tieni alla salute, stai a debita distanza dal testo che ti ho citato

    In quanto a Leonardo, sappiamo benissimo che egli è stato preso come icona illuminista proprio per l’esasperato avallo ideologico che i suoi lavori anatomici (per non parlare dell’impulso al tecnicismo della meccanica bellica) hanno conferito al paradosso dell’uomo macchina, a ben vedere assai più caro ai newtoniani che allo stesso Isaac Newton.

  12. @Fabio, leggo e rileggo il tuo commento sul tema del lavoro, ma non riesco a cogliere il messaggio, che vuoi comunicare.
    Ti sarei grato se potresti spendere delle righe per chiarirne i concetti,

  13. In effetti, intendevo parlare di lavoratori potenziali dietro le file di quelli effettivi. La maggior quantità di domanda lavorativa consentirà alle amministrazioni aziendali di presentarsi al tavolo della contrattazione col vantaggio di poter decidere arbitrariamente il prezzo della ‘merce’ / lavoro. Ovvero, se per svolgere un determinato incarico si presentano dieci aspiranti, il loro operato avrà un valore, ma se per lo stesso incarico si presentano cento richieste di impiego ecco che il prezzo dello stesso lavoro potrà essere sensibilmente abbattuto.
    Con un costo del lavoro ridotto a livelli minimi è ovvio che il padronato potrà permettersi di aumentare le ore lavorative a proprio piacimento e intensificare la produzione a costi sempre più contenutii. Naturalmente il processo sarà graduale e difficilmente contrastabile da parte degli ingenui lavoratori che ancora si affidano alla consuetudine putrescente della contrattazione e concertazione sindacale. Questi sindacalisti da patibolo sono soliti, prima mettere i lavoratori in condizioni contrattuali precarie ( non muovendo un dito quando vengono forgiati ridicoli criteri di abilitazione professionale, cosicché in parecchie unità possano accedere a incarichi anche altamente specializzati) e poi fingere indignazione di fronte alla sfrontatezza delle pretese padronali, ben sapendo che il prezzo dovuto alla logica capitalistica dell’eccesso di domanda lavorativa non potrà essere negoziato. Alla fine di ridicoli piagnistei (sindacali), amplificati a dismisura dalle testate giornalistiche compiacenti, e snervanti tavole rotonde si giungerà ad una soluzione di ‘compromesso’ (in realtà ciò che appare frutto di un un accordo, non è che un epilogo già deterministicamente definito dal meccanismo mercificante della domanda e dell’offerta) del tutto inutile all’interesse e alle richieste dei lavoratori, che avrà il solo scopo di preservare una scarna facciata di credibilità al ruolo dei sindacalisti di professione. Questo ci dice la storia, questo dicono i fatti. Ora mi pare aver chiarito il concetto. Così va bene , Alfonso? Da qui in avanti non facciamone un dibattito politico però, cerchiamo di attenerci al margine delle mie proposte di confronto.

  14. @Fabio, ti ringrazio per la chiarificante e ben articolata risposta.
    Cercherò di rimanere nel tema che hai svolto nel post.

  15. non è che un epilogo già deterministicamente definito dal meccanismo mercificante della domanda e dell’offerta.

    In questo semplice periodo è espresso il vincolo che lega la nostra società a quella ‘deprivata’ di Huxley. Dico ‘deprivata’, e non ‘depravata’, perché qualsiasi contesto indirizzato su un paradigma di sviluppo meccanicista non può fare a meno di promuovere il concetto di conoscenza ‘deduttiva’, che poggia i suoi teoremi su fallibili basi standardizzanti.Il termine ‘deprivazione’ l’ho attinto in realtà dal pensiero di Antonio Scurati (deprivazione della realtà), che forse senza rendersene conto esprime una critica precisa e concettuale contro i rischi insiti nel metodo deduttivo. Ciò è a tutti gli effetti collegato a quanto detto e commentato fino ad ora, specie rispetto alla scuola pitagorica..

  16. @ Fabio, non posso trattenermi dal comunicarti questa notizia
    “Azienda e sindacati hanno sottoscritto il nuovo contratto dei dipendenti delle Fs” che avvera le nostre facili previsioni sulla deriva dei diritti dei lavoratori.
    I particolari sono questi:
    “L’accordo prevede, tra l’altro, l’incremento dell’orario da 36 a 38 settimanali per tutti i settori e un’articolazione dell’orario di lavoro idoneo a soddisfare le esigenze dei segmenti di business, cogliendo le specificità del trasporto passeggeri (alta velocità, media-lunga percorrenza, regionale) e merci, per consentire un incremento di produttività del Gruppo.”
    “Le parti hanno inoltre istituito il salario di produttività e, per la prima volta, un sistema di welfare aziendale fondato sull’assistenza sanitaria integrativa
    per i dipendenti” dall”Avvenire del 21/07/2012 pag.20

  17. Ecco, vedi, la cronaca ci conferma puntualmente gli effetti di questa farsa. L’orario aumenta per decreto e sulla carta sembrerebbe aumentare anche il compenso, ma tutti sappiamo che a fine anno il cud svelerà l’inghippo e qui verrà confermata l’equazione di cui si diceva: più ore lavorative = meno compenso, ovvero, per gli amanti degli acronimi: Flg = + OL – C, dove ‘Flg’ sta per furto legalizzato. Temi affini sono stati affrontati da nicola lagioia su questo post: http://www.minimaetmoralia.it/?p=8793

  18. Ecco, vedi, la cronaca ci conferma puntualmente gli effetti di questa farsa. L’orario aumenta per decreto e sulla carta sembrerebbe aumentare anche il compenso, ma tutti sappiamo che a fine anno il cud svelerà l’inghippo e qui verrà confermata l’equazione di cui si diceva: più ore lavorative = meno compenso, ovvero, per gli amanti degli acronimi: Flg = + OL – C, dove ‘Flg’ sta per furto legalizzato. Temi affini sono stati affrontati da nicola lagioia nel post ‘Italia: la violenza che viene?’, su minima &moralia

  19. Caro federico, ti rispondo nel luogo dove era più logico ti rispondessi, perché – se non sbaglio – era questo lo specifico articolo a cui facevi riferimento nel tuo commento su minima&moralia; e non mi sembrava davvero corretto invadere un settore in cui nessuno intendeva discostarsi eccessivamente dall’indirizzo del thread di riferimento. Fortunatamente, a quando ho realizzato, anche tu sembri essere un fottuto ‘disordinato’ e perciò dei conformismi, della netiquette e del variopinto sistema di limitazioni espressive a cui si attengono i benpensanti della rete, te ne freghi assai. Se è così, complimenti!

    Al dunque
    Nell’articolo che Samgha mi ha gentilmente permesso di dibattere (in realtà lo devo alla giusta curiosità di Simone Battig per la meccanica quantistica.) ho cercato innanzitutto di chiarire un aspetto inspiegabilmente trascurato dalla filosofia dei filosofi. W.Heisenberg dice: I giovani devono cominciare a considerare l’esperienza che stanno vivendo come il procedimento contemporaneo di due mentalità filosofiche….da qui l’importanza che ognuno comprenda la filosofia della ‘nuova’ fisica. la filosofia della nuova fisica non ha nulla a che vedere con quella vecchia, così come rimarca perfino il biologo S. Luria nella prefazione del libro di Bronowski ‘L’origine della conoscenza e dell’immaginazione’ . (riportato nel commentario al post) in cui afferma:
    ‘le misure fisiche non sono assolute perché i loro limiti sono stati ridicolizzati dalla meccanica quantistica.’.

  20. Newton in poi ha finito per essere considerato essenzialmente monolitico. La contaminazione culturale, a mio parere, deriva interamente dal fatto che dopo la legittimazione delle UGL (leggi di gravitaz. univers.) l’idea di un duplice indirizzo metodologico del Sapere è stata sostituita con quella ‘monolitica’ meccanicista, per la quale tutta la natura sarebbe indagabile attraverso un solo procedimento (quello meccanicista, per l’appunto). Ho inteso così ribadire che con la formulazione e la spiegazione teoretica del principio di indeterminazione si è restituita all’indagine scientifica quella modalità di conoscenza che Newton aveva cancellato, e che già era stata teorizzata da B.Pascal e De Fermat, un secolo prima. Chi al giorno d’oggi continua a sostenere che il meccanicismo è l’unico modo di indagare la fenomenologia naturale, afferma il falso. Ecco perché parlo di contaminazione. La medicina scientifica, ad esempio è dominata , in ampi settori, da questo falso convincimento . All’origine della secolare diatriba esiste pertanto una contraffazione di tipo ideologico che vuole il meccanicismo newtoniano unico e insostituibile espediente metodologico. Io ho cercato di chiarire questo paradosso (prettamente scientifico prima che filosofico) e di ribadire l’inutilità di una contrapposizione fra i due diversi indirizzi di metodo. Uno non è sostitutivo dell’altro, ma semplicemente complementare, poiché la natura è costituita da processi e strutture in parte condizionabili e in parte incondizionabili. Alla caduta di un corpo morto si può applicare la costante di gravità, proprio perché, in quanto massa inerte esso non subisce dall’ambiente condizionamenti decisivi. Lo stesso teorema non si può applicare, ad esempio, al volo di un uccello, soggetto , com’è immaginabile, a ben altri e più numerosi influssi e interazioni con l’ambiente.
    Per usare le parole di Koyrè: ‘ Pertanto vi è qualcosa di cui Newton dev’essere considerato responsabile. Non solo Newton, ma la scienza moderna in generale: è la divisione del nostro mondo in due. In verità questi mondi sono ogni giorno , e sempre di più, uniti dalla prassi ma per la teoria essi sono separati da un abisso.’
    Spero di aver chiarito così alcuni tuoi dubbi, Federico.

  21. In sostanza la realtà è una sola, ma per indagarla abbiamo più che mai bisogno di due indirizzi metodologici profondamente diversi fra loro. Uno di rifà ai moti non-condizionabili (i sistemi chiusi di I:Prigogine), l’altro ai fenomeni determinati dal condizionamento con gli elementi circostanti (sistemi aperti), per prevedere il moto dei i quali sarebbe opportuno considerare le leggi della probabilità e non quelle assolute della matematica.

  22. @fabio
    Grazie della tua risposta che, se possibile, mi ha ulteriormente confuso le idee :) Mi chiedevo semplicemente come facessi a considerare la contaminazione culturale un “‘inganno”, e allo stesso tempo scrivessi, qui sopra, di relazioni (devo dire piuttosto arbitrarie) tra pensiero scientifico ed arte.
    Comunque sia, la probabilità E’ matematica, e la scienza non è più meccanicista da un’ottantina d’anni. Non solo la scienza, ma la tecnica – anche gli aggeggi coi quali ci scriviamo – fanno uso della meccanica quantistica (certo, per far muovere un ascensore o un aereo il vecchio Newton basta e avanza)…”Much Ado About Nothing” (?)
    ciao

  23. Credo esistano 2 forme di matematica .quella creata dall’uomo,al suo personale servizio ,dove tutto deve necssariamente quadrare,(anche le variabili,ossia le probabilità ) l’altra forma quella del creato,e del suo creatore,insondabile incomprensibile,che troviamo dalla foglia ,al macro e microcosmo, dove le variabili sono una costante proprio perchè,non possiamo indagare,con la nostra misera scienza ,qualcosa di divino,è umanamente irragiungibile,(es l’infinito irragiungibilmente comprensibile) scusate la semplicità del linguaggio,ma non posso fare meglio

  24. Bel pensiero @costanzo. Pur provando a orientarmi secondo la tua prospettiva resta da capire per quale motivo questo potente strumento sarebbe stato messo nelle mani dissennate dell’umanità. Supponendo che l’uso che ne è stato fatto non sia quello giusto ( @federico ricordava che il vecchio newton serve a far salire gli ascensori, io ricordo che da tre secoli serve soprattutto a tirare ordigni e metalli vari sui poveri cristi), ma allora a cosa servirebbe un cervello capace di far di conto?

  25. @federico, ti ringrazio per la tua domanda che mi ha permesso di capire l’ ambivalenza di alcune mie espressioni. Penso ci si possa intendere meglio, però ho bisogno di un po’ di tempo per elaborare una replica in grazia di dio, e non correre il rischio di uteriori fraintendimenti. Credo che l’argomento possa interessare anke @costanzo. A domani allora.

  26. forse per avere l’umiltà di non capire,cosi’ da riconoscere il divino, e esser riconoscenti ,e iniziare cosi’ un cammino ,verso Dio, che forse con la sua infinita misericordia,ci potrerà su nuovi parametri di pensiero, forse è questo il suo disegno, dovremo avere il coraggio di staccarci dalle nostre presupposte certezze ,e incamminarci verso quel mondo affascinante misterioso ,di cui noi siamo una parte essenziale ,ma non risolutiva

  27. @costanzo: dovremmo avere il coraggio di staccarci dalle nostre presupposte certezze.
    Curiosamente Questo è un motivo caro anche alla fisica quantistica , che una volta sancito il principio per cui non si può sapere contemporaneamente posizione e velocità di spostamento dell’elettrone, introduce il concetto di previsione per livelli di probabilità, minando definitivamente l’illusione di certezza e di precisione dei criteri dell’indagine classica. La probabilità non significa comunque indeterminazione, essa fornisce risultati esatti nella previsionedei fenomeni ma lo fa nel rispetto di specifici limiti.

  28. @ Costanzo. Sono d’accordo con te per quanto riguarda l’esistenza di Dio. Secondo una mia personalissima opinione, oserei dire che Dio è stato “costretto” ad essere complesso per poter dare all’uomo un’universo che potesse soddisfare tutti i suoi bisogni e nello stesso tempo dare ad ogni uomo la possibilità di avere una propria, libera, unica ed irripetibile esperienza di vita. Proprio per essere liberi di amarlo o meno, ci ha dotato della capacità intellettiva.
    La qualità della quale è sapientemente dosata affinchè possiamo, anzi dobbiamo criticare profondamente e con cognizione di causa il Suo disegno nei nostri confronti; e liberamente, responsabilmente, e consciamente scegliere in merito all’adesione o al rifiuto del Suo progetto.

  29. L’intelligenza , nella sua accezione più ampia, può dunque essere considerata un valido strumento per la scoperta/ricerca del Dio complesso, del Dio che ‘ama nascondersi’ ; questa è una nota posizione dello scrittore vittorio messori, se ben rammento. Tuttavia qui si parlava di intelligenza speculativa, di metodo meccanicista, per l’appunto. Infatti mi son permesso di sollevare provoctoriamente il dubbio che ai Piani Alti avessero commesso un grossolano errore di valutazione, dal momento che la scoperta delle Ugl ha solo fornito , inizialmente, un efficace mezzo teorico con cui migliorare la perniciosità degli strumenti bellici e dare un impulso decisivo (attraverso massicci finanziamenti allo studio della balistica) allo sfacelo coloniale. Un modo curioso di aiutare l’umanità.

  30. Dalla mia esperienza di vita e da quello che ho capito dalla Bibbia, la spiegazione e la testimonianza dell’esistenza di Dio avviene soprattutto con i gesti e i fatti reali della vita quotidiana, e queste discussioni hanno valore se sono subordinate alle vicende dell’esistenza: perché, mentre la vita è “la realtà”, il linguaggio non è che una sua limitata e imperfetta interpretazione.
    Dopo questo noioso preambolo, ma per me essenziale, è Dio che ci cerca, non siamo noi che lo cerchiamo, c’è questa appassionata ricerca dell’uomo da parte di Dio, e il nascondersi dell’uomo. Tutta la Bibbia testimonia la “Rivelazione” di Dio all’uomo, e il desiderio di Dio è trovare l’uomo. L’uomo per quanto dotato di capacità intellettive non potrà mai scoprire, come ha fatto newton con la Ugl, Dio. Il mio problema non è trovare Dio, ma aprirgli la porta del mio cuore per farLo entrare perché e lì che bussa. Che resistenza può avere la porta del mio cuore di fronte alla potenza di Dio, eppure Egli è talmente rispettoso delle mie scelte e contrario ad ogni atto di forza, che senza un mio consenso non entra. Il mio consenso non è una parola magica, ma un cambiamento nei rapporti con gli altri, nel vedere negli altri realmente l’INCARNAZIONE di Dio.
    “Un modo curioso di aiutare l’umanità.”
    La tua è una provocazione più che lecita, e penso che tormenti e abbia tormentato quasi tutti i santi. Dio è “ansioso” di aiutare l’umanità, ma è l’umanità che non si fa aiutare. Egli non può portare il Suo aiuto, perché non è richiesto nel modo giusto, il Suo aiuto si può manifestare se tutto il nostro essere ha liberamente abbandonato quegli atteggiamenti negativi come egoismi e orgogli che ne impediscono l’effetto.

  31. @alfonso , un Dio costretto mi viene difficile ,ansioso di aiutarci si, e dici bene il nostro compito è quello di aprirgli la porta il cuore ,ma ci dice anche, chiedete incessantemente, possiamo chedergli di liberarci dall’orgoglio. dai nostri egoismi , con le nostre forze non potremo mai riuscirci, un santo ha detto quando morirò ,il mio orgoglio morirà , qualche istante dopo

  32. Caro @Federico, la nostra claudicante intesa a mio parere è dovuta ad un equivoco. Ti ringrazio per la domanda, perché mi ha fatto capire che alcuni concetti vanno trattati con minor disinvoltura.. E così proverò a fare.

    In senso generale, ciò che dici è assolutamente vero: il rapporto fra culture diverse dovrebbe favorire l’emancipazione delle menti e l’affermazione di un comune concetto di civiltà. Le ‘contaminazioni’, nel senso di ‘scambi culturali , sono da considerarsi senza dubbio positive. Io però, a dire il vero, volevo sottolineare un’altra questione. Intendevo dire che molti significati o concetti finiscono per essere modificati da una visione indotta dominante che tutto vuole asservire ai propri dogmi e alla propria maniera di intendere le cose. Precedentemente qualcuno adduceva a questo problema motivazioni illuministe; devo dire che per molto tempo l’ho creduto anch’io, in seguito però ho maturato la prospettiva che anche il superato cartesio sia stato rivoltato come un calzino. La ‘contaminazione’ dei significati, ma sarebbe più corretto chiamarla ‘alterazione’, può in tal caso considerarsi un fattore deviante che ostacola la risultante comunicativa. Ma sei tu, con due righe, a chiarirmi gli effetti di questa confusione: Il pc e l’informatica sono una derivazione diretta delle applicazioni sulle leggi della probabilità. A ciò posso aggiungere diversi saggi sugli studi dei giochi a pronostico di cui John Nash ci fornisce una chiaro riepilogo storico (continua) .

  33. (continua)-
    Ma saranno proprio i padri di quelle fondamentali scoperte (sui quanta) di circa ottant’anni fa a separare i significati che ci hanno indotto in equivoco. Una asserzione rimane allora il punto topico delle nostre disamine: tu affermi che la probabilità è matematica. Ciò tuttavia non è corretto! Il problema è ben ripreso dalla polemica fra due menti eccelse, W. Heisenberg ed A. Einstein riguardo al ‘Dio che gioca a dadi’ , di cui certamente avrai sentito parlare. I nostri equivoci riprendono i temi di una diatriba antica, dunque. Ti posso rispondere a tal proposito che teoria delle probabilità (da cui proviene la fisica quantistica) e meccanicismo (determinismo, assolutismo aritmetico) danno luogo a due criteri metodologici essolutamente differenti riguardo lo studio della natura. Anche il premio Nobel Luria (riproposto nei precedenti commenti) ha sottolineato questa innegabile ambiguità. Come avrai notato, fino a questo momento, ho preferito avvalermi delle parole di personaggi di spicco del mondo della scienza, allo scopo di stimolare una lettura anche parziale del loro sforzo divulgativo. Posso però dirti che la scienza, specie tutto ciò che noi consideriamo tecnologia, si appoggia innegabilmente al postulato meccanicista. E fin qui nulla di strano, salvo il credere che il meccanicismo sia ‘superato’. Non lo è affatto! La medicina scientifica, ad esempio, si poggia quasi interamente su soluzioni meccaniche, se ci fai caso. E quando non lo fa cade in grossolani equivoci e procedure inutili (mi sono occupato per molto tempo di analisi del passo, in neurologia riabilitativa). Ciò in alcuni comparti può considerarsi adeguato, ma in linea di massima, direi di no: il meccanicismo non soddisfa minimamente le nostre necessità di conoscenza medica e nemmeno quelle del sapere in generale. L’inganno sta nel farci credere che sia l’unica maniera di indagare i fenomeni o il funzionamento di certi apparati.

  34. Per riprendere il tuo paradosso e concludere, direi che il ‘vecchio Newton’ è stato molto utile nell’arte della guerra (la balistica è stata la prima e più foraggiata applicazione delle sue leggi), oppure nel permettere l’invenzione dell’ascensore; il problema che io chiamo ‘inganno’, è dovuto invece al fatto che lo si vuole usare a tutto tondo anche nell’analisi delle dinamiche biologiche, nello studio della natura, della psicologia (ad una precisa causa psicologica corrisponde un effetto comportamentale), nello studio delle dinamiche sociali, o per capire come cammina un uomo . In pratica un apparato vivente non è un ascensore e pertanto va analizzato con strumenti idonei. In questi casi entrano in gioco criteri d’indagine specifici; ritenere quindi che attraverso il meccanicismo si possa comprendere e risolvere tutto (l’essere umano non è infatti una macchina), è un errore macroscopico che finirà per plagiare anche le nostre coscienze. Forse non ti ho aiutato molto. Mah… Evntlmnt mi farai sapere. Un saluto

  35. @ Costanzo, ti ringrazio per aver evidenziato nel mio commento delle importanti incongruenze con la testimonianza cristiana, e nello stesso tempo avermi dato la preziosa possibilità di meditare sulla piccolezza dell’uomo e sull’impossibilità di amare Cristianemente il prossimo senza la principale e fondamentale presenza di Dio,

  36. “Non siamo liberi. Viviamo in una società fatta a compartimenti. Bisogna pur tenere conto di queste divisioni. Ma perché ripeterle? Perché gli happening dovrebbero replicare gli aspetti più costrittivi della vita quotidiana? Si crede sempre che occorra, nell’arte, mettere ordine dovunque. E se l’arte incitasse al disordine?”

    J. Cage “Per gli uccelli” p.87 ed Multhipla 1977

    In questo concetto trovo un legame fortissimo con la teoria dei quanta, perché in entrambi gli ambiti si denuncia l’inganno, da parte della cultura greco – illuminista, della scomparsa dell’indeterminatezza, della scomparsa del caso come fonte di libertà, della costruzione del muro che ci separa dalla natura, della negazione della inscindibilità del ruolo di “attore-spettatore” di ogni individuo in tutti gli attimi della vita.
    La presunzione di poter quantificare, con fredde e precise equazioni matematiche, il risultato prodotto dall’interazione della mia vita e il resto del mondo è l’assurdo e unico scopo della scienza.
    L’Arte non deve assurgere a divinità, non deve stimolare atti di contemplazione estatica, non deve essere il lasciapassare per far ottenere lo status di semidio all’autore; l’arte non è un fine, come ingannevolmente ci è stato tramandato dalla cultura ellenistica.
    Nel periodo attuale penso che sia adatto descrivere brevemente la linea guida dell’opera di Cage.
    Per lui l’arte è un umile e attrezzo pedagogico, che ha come scopo quello di educarci alla vita, di togliere i compartimenti che ci impediscono di conoscere, così la performance diventa simbolo della realtà non separata, gli ingredienti dei suoi spettacoli, che rendono possibile ciò, sono gli stessi che qualificano l’esistenza: l’indeterminazione, lasciare grande spazio al caso, l’irripetibilità e l’imprevedibilità dell’evento.

  37. @Costanzo.Alcuni con il termine di liberta’,intendono quei valori che la democrazia promette.Per altri significa prendere l’auto o l’aereo per recarsi in un’altra nazione.Altri credono che la vera liberta’ consista nel fatto che ognuno sia libero da ogni responsabilita’.Poi ci sono quelli che con il concetto di liberta’ vogliono svincolarsi da tutte le restrizioni morali.Per Aristotele,la liberta’(privilegio dei cittadini greci),significava abbandonarsi all’ozio sulle spalle degli schiavi. Rousseau diceva che “L’uomo e’ nato libero eppure giace ovunque in catene”.Per Lutero la liberta’ significava “farsi servi volontariamente”.Per me la liberta’ non significa essere come si vuole essere,intrappolati nell’egoismo e nell’orgoglio.No,liberta’ significa come si deve essere.Finche’ il cuore non e’ libero di amare,di perdonare,di essere allegro,generoso,amichevole e finche’ non ci liberiamo di noi stessi non saremo liberi.In realta’ e’ il peccato che ci impedisce di essere quello che dovremmo essere.La vera liberta’ viene dal di fuori e ci puo’ essere donata solo nel perdono.Gesu’ Cristo ci da’ questa liberta’,non una liberta’ politica e immorale,ma una liberta’ spirituale che ci libera da noi stessi e ci lega a Lui.Gesu’ Cristo e’ morto alla croce ed e’ risorto.Egli ha tolto alla morte il suo potere e ha dato liberta’.La liberta’ e’ trovare Colui che rende veramente liberi.Un caro saluto.

  38. @ Tiziana. Ti ringrazio x il tuo bellissimo commento,lo condivido pienamente, si dobbiamo liberarci do noi stessi ,il nemico più pericoloso .Certo non è cosa facile,personalmente mi sento come il pubblicano nel tempio,dovrei confessarmi ogni 2 giorni.Cristo ci chiede di amare il nemico ,di perdonare sempre,di porgere l’altra guancia, sarebbe bello riuscire in questo intento,saremmo sicuramente degni della santità.Perciò hai ragione quando dici che la libertà è un dono.Volevo spostare in un altra angolatura il concetto di libertà.Dio sicuramente in quanto Dio conosce in ogni particolare la nostra vita dal principio all’ultimo respiro,quasi noi vivessimo un copione già scritto, anche Cristo probabilmente sapeva già di Giuda,nel momento in cui lo scieglieva come apostolo.,in questo contesto mi chiedo ,siamo liberi?Dio ci dà dei comandamenti ,degli insegnamenti,ci chiede di fare qualcosa di cui già conosce il risultato? .e del resto non può essere diversamente , toglieremo a Dio la sua onniscienza…un bel mistero. siamo predestinati?C’è una canzone che dice avevi scritto già il mio nome lassù nel cielo .Ho provato a dare un senso a questo mistero,che mi crea non poca ansia,forse, anche se l’uomo vive una sorta di copione ,il fatto di non conoscerlo lo rende libero.? Tu che ne pensi . Un affetuoso saluto .Costa

  39. La libertà è il capolavoro degli ellenisti – illuministi, è la parola magica che elimina e ridicolizza tutte le anacronistiche superstizioni religiose, è il pass morale che ci permette di vivere edonisticamente, esasperando l’individualità e di conseguenza l’egoismo.
    Noi occidentali, sicuri della bontà della trovata, con spirito altruista, facciamo di tutto per rendere nota al resto del pianeta la panacea di tutti i mali; così siamo riusciti ad impadronirci delle risorse delle altre culture, ad inquinare il pianeta, a renderlo più violento.
    Questi sono gli innocui effetti collaterali, che si devono pagare rispetto alla grande opera di rendere liberi tanti uomini.

  40. post complicato, ma piuttosto chiaro negli intenti. Ho compreso quasi tutte le repliche dell’autore, tuttsvia ho rilevato meno lucidità nella risposta al quesito: la probabilità è matematica? Per me lo è, ma mi sembra che Fabio su questo punto non sia stato chiarissimo

  41. @Costanzo.No,l’uomo non vive una sorta di copione.L’idea che il successo o il fallimento della vita di ognuno sarebbe gia’ prestabilito da un “disegno divino” e’ contraria all’insegnamento di Gesu’ Cristo.Alcuni giustificano di aver commesso delle malvagita’ perche’ cio’,preferiscono credere,”era scritto”.Il male sarebbe quindi causato da Dio? Sarebbe un Dio orrendo! Dio ci indica la via,ma poi ci lascia liberi di scegliere.Se ci viene offerto un biglietto per una vacanza in un luogo bellissimo,che infonde pace e benessere,veniamo a conoscenza della nostra destinazione,anche se non siamo ancora giunti a quella destinazione.Per giungervi dobbiamo prima accettare l’invito e metterci in viaggio per la meta;sta a noi scegliere se volerla raggiungere.Egli non fa le scelte o prende le decisioni al posto dell’uomo.Egli lascia queste cose al libero arbitrio di ogni essere umano.Solo in alcuni casi determinate persone sono state designate in anticipo per certi ruoli.Ma anche in quel caso,predeterminato era il ruolo e non le scelte personali.Buon Ferragosto a te e a tutti i commentatori.

  42. Io sono libero ,libero di scegliere Gesù o il mondo ,non ho conoscenze diverse o preveggenza che mi possano indirizzare ,ma solo,il mio saper decidere ,in funzione del mio vissuto e in funzione di ciò in cui credo. E poi non è vero ,che la onniscenza di Dio è contraria all’insegnamenti di Cristo,è stato un tema già ampiamente discusso ,all’interno della chiesa,ho avuto,in questi giorni, conferma di ciò anche dal mio padre spirituale Volevo ,solamente dire che Dio in quanto Dio non può essere all’oscuro delle nostre scelte , lui sa già cio che faremo, non sarebbe Dio se ciò non fosse in suo potere,Gesù stesso anticipa ,sia a Giuda ,e anche a Pietro il loro tradimento, Per la chiesa questo è un mistero ,uno dei tanti dogmi percui la fede non è una questione di ragione umana, ma un fidarsi dell’assoluto .L’ultima frase dell’imitazione di Cristo dice …che se opere di Dio fossero tali da poter essere facilmente comprese dalla ragione umana,non si potrebbero dire meravigliose e ineffabili..Chiedo scusa a tutti se ho sconfinato ,dal tema originario del post, buon ferragosto

  43. Esistono delle probabilità matematiche ,ma non certe, x es quando giochiamo al lotto,un numero che manca da tanto ha delle probabilita di essere estratto,Quando parliamo di macro o microcosmo ,è possibile che tutto risponda a un disegno logico,perciò matematico,,ma ,,indaghiamo l’infinito,concetto irragiungibile. , qui la matematica perde forza.Come scrissi già a fabio ,esiste una matematica divina ,in cui la ragione scientifica umana non basta.Alla luce di questo condivido il concetto di Patrizio

  44. Sì, si è un po’ divagato, però a rivedere tutti gli interventi credo si possa tentare di imbastire una trama di collegamento. Queste ultime riflessioni sulla ‘Libertà, per
    esempio, ci riconducono al tema della duplicità del criterio dell ‘ analisi ‘matematica’, per il quale sembra proprio che, anche attraverso il libero ragionamento, sia perrfettamente possibile diversificare una condotta analitica da un’altra e pertanto si possa operare una scelta precisa su ciò che intendiamo indagare della realtà. Da una parte vi è l’elemento statico (per il quale sarebbe possibile la descrizione secondo il sistema di coordiate cartesiane, (spazio euclideo, geometria etc.) e dall’altra quello imprescindibilmente dinamico che introduce il concetto di spostamento (velocità, ossia rapporto fra spazio e tempo).
    La matematica, insomma, è stata qui comunemente identificata come procedimento monolitico (il che non comporterebbe facoltà di scelta), mentre – per quanto mi riguarda – posso dire di aver tentato fin dall’inizio di ricondurre il punto della questione sulla duplicità del sistema analitico che porterebbe alle due diverse opzioni: meccanicista e probabilistico-indeterministica.
    La ‘probabilità’ dunque non riguarderebbe che un limitato settore di competenza della matematica. Per questo motivo mi sono ostinato ad affermare che la probabilità non è ‘matematica’ in senso assoluto. E’ ovvio che anch’essa maneggia numeri, ma il problema aperto dalla fisica dei quanta riguarda proprio la diversificazione delle posssibili modalità di utilizzo dell’elemento numerico, ossia di quello indiscriminatamente denominato ‘matematico’.
    La matematica di cui parla @costanzo , mi sembra per l’appunto quella statica e monolitica a cui non è dato comprendere nulla del ‘divenire’ (concetto relativo all’evento cristologico). L’idea quantistica tuttavia, con la formulazione di un preciso confine operativo, conferma che aldilà di un limitato settore di indagine precluso al meccanicismo, ne esista uno indagabile ed un terzo effettivamente precluso alle facoltà dell’intelletto. La formalizzazione quantistica conferma quindi l’impotenza del procedimento di indagine ad un certo livello e pertanto non nega affatto l’esistenza di un campo indeterminabile in senso assoluto, quello generalmente attribuito al trascendente, entro il quale ogni tentativo di razionalizzazione, compreso quello quantistico, perde valore e forza. Ecco perchè la fisica dei quanta è stata a più riprese definita ‘etica’ e come tale respinta dall’ideologia comunista. Ciò che i fisici meccanicisti e neopositivisti russi non ammettevano era proprio la base teorica un ineluttabile di un confine operativo, e perciò della possibilità di una frontiera etica che Newton aveva lasciato supporre fino ad allora valicabile.

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