Saggi

Antonia Pozzi su Flaubert

Immaginedi Matteo Vecchio*

Antonia Pozzi, Flaubert negli anni della sua formazione letteraria, a cura di Matteo Mario Vecchio, con la collaborazione di Chiara Pasetti, Torino, Ananke, 2013

È in uscita presso Ananke, Torino, per mia cura, l’edizione critica della dissertazione di laurea di Antonia Pozzi (1912-1938), discussa con Antonio Banfi nel 1935 presso l’Università di Milano, Flaubert negli anni della sua formazione letteraria. Correda il volume una accurata bibliografia ragionata compilata da Chiara Pasetti. Anticipo qui su Samgha il seguente passo dalla mia introduzione al volume seguito da altri due excerpta:

Il nucleo concettuale attorno al quale si impernia la dissertazione è già ben delineato nelle affermazioni introduttive, in cui netta è, peraltro, la presa di distanza metodologica da ipostasi idealistiche, ed è radicale e sintomatica (alla luce della personalità dell’Autrice, della curvatura critica da questa impressa alla tesi, dell’oggetto analizzato) l’insistita e rivendicata incidenza del «problema di vita», posto in fertile circolarità, «legame vitale», rispetto al «problema d’arte», «poiché questo legame costituisce da solo, in questo caso, il fondamento e il valore di tutta una personalità», per la quale – pur nell’adozione di «una dottrina estetica» fondata sull’«esasperata preponderanza data all’elaborazione stilistica» («che cosa fa sì che l’opera ci dia, oltre l’emozione della sua bellezza plastica, tanta profonda commozione umana? Che cosa crea, all’interno dell’opera stessa, quell’incessante tensione trattenuta che la colloca come in un’atmosfera vibrata di vetta, di spigolo, dove ogni passo è una conquista esatta e la fatica si rastrema in levità attenta, come per un gioco mortale?») – «la stesura di una pagina non implica soltanto la risoluzione di un problema letterario, ma rappresenta di per se stessa la risoluzione vivente di un problema di vita».

Delineati i presupposti analitici e la cifra di ricaduta vitale dell’esperienza creativa e formativa flaubertiana, e, della «doppia tendenza –fantastica ed ironica – all’evasione», «la concezione di vita che nasce da quella tendenza e la concezione d’arte che ne è la conclusione» («una concezione della vita che pone l’arte al sommo della vita stessa, come rifugio e come riscatto»), ripercorsa la primissima produzione flaubertiana fino alla «crisi» seguìta, nel 1838, alla compilazione di Smarh, è in questa transizione che si chiarisce a Flaubert la necessità che l’esperienza si renda «rimpianto» e «nostalgia» affinché possa costituire materia d’arte, e l’esigenza, perché ciò avvenga, di attuare uno strenuo lavoro plasmatorio, vivificante, sulla materia stessa, che soverchi – in una sempre più spiccata, purificante, immanentizzazione di forma e di pensiero – la divaricazione dell’essenziale dicotomia tra «facoltà di sogno» e «facoltà d’ironia» in procinto di transitare, da originarie posizioni platonico-dualistiche, a una successiva, e definitiva, concezione idealistico-immanentistica. Se la prima Éducation sentimentale costituisce una fase di assestamento e di passaggio in cui «la conversione teorica» anticipa «l’applicazione pratica» del conquistato attingimento contenutistico alla viva materia umana, e testimonia l’azione costante, pur modulata, di una protratta «crisi», essa reca traccia, quale esito maturativo, traslato in Jules – costituendo, questo, in sé, una smentita alle posizioni raggiunte –, di un «equilibrio fatto della compenetrazione di cuore e intelletto» (intendendo «cuore» «nel senso quasi medicale della parola»), condizione che prelude al conseguimento di quella «forma superiore di comprensione, di compenetrazione» che è «la moralità dell’arte»: «intellettualizzazione della poesia» (di matrice classica) che purifica i contenuti romantici acquisiti alla cultura; apertura oggettiva, artisticamente autonoma (priva di «ogni movente particolaristico» e di «ogni fine eteronomo»), e potenzialmente infinita, alle cose – rese, nella loro interezza, oggetti di rappresentazione –; netto distanziamento dalle gore di un immediato autobiografismo.

«“Bisogna che la realtà esterna entri in noi, fino a farcene urlare, per ben riprodurla”».

«“Meno si sente una cosa, più si è atti a esprimerla come essa è (come essa è sempre, in se stessa, nella sua generalità e liberata da tutti i suoi contingenti effimeri). Ma, bisogna avere la facoltà di farsela sentire, questa facoltà non è altro che il genio: vedere, avere il modello davanti a sé, che posa”».

«Latente» è il «travaglio dello stile»; sotterranea è, riflesso di questo, la plasmazione della teoria (la «penetrazione progressiva del creatore nella creatura») su di un contenuto che ne rispecchi le coordinate attuative, e l’enquête di tale materia cui la parola deve aderire, penetrandone l’intima, e sua, verità, in una immanente iridescenza – da Flaubert precocemente invocata – tra forma («penetrazione ed elevazione del reale») e idea.

«Disciplina risanatrice», «fatica purificatrice», «riscatto dalla propria natura»: come avverte Antonia Pozzi, incanalando la propria attenzione verso lo specifico versante tecnico (che è sbocco attuativo, potenziale ancòra, della conquista teorica) della lezione flaubertiana, «F[laubert]. può servire soprattutto come esempio vivo dell’importanza della parte tecnica, del sudore nella creazione artistica». L’osservazione soggettiva del reale, mediata dall’intelletto «espresso in gusto stilistico» e dall’esasperazione autocritica dello sguardo, fa sì che, nel Flaubert che attende alla fase preparatoria di Madame Bovary, la «rinuncia alla vita si compens[i] mediante la creazione di quell’incontaminato mondo dell’Arte» – ricercando, nella forma del romanzo, la «vita diffusa nelle cose, diluita nei giorni», «la cui massima individualità – e sembra un paradosso – costituisce anche la […] massima universalità».

«Elevazione operata dall’artista», «precisa, matematica convalidazione» della realtà, «immensa opera di redenzione operata in lui».

*

Dalla Bibliografia ragionata di Chiara Pasetti.

Il percorso – senza pretese di astratta completezza – all’interno delle fonti utilizzate da Antonia Pozzi per la stesura della propria tesi di laurea sulla formazione letteraria di Gustave Flaubert dagli esordi alla pubblicazione di Madame Bovary, ha lo scopo precipuo di ricostruire e analizzare la bibliografia effettivamente consultata e utilizzata dall’Autrice. Necessaria è la distinzione preliminare tra le opere di Gustave Flaubert e gli studi critici su Gustave Flaubert, che qui vengono ulteriormente distinti in studi in lingua francese e studi in lingua italiana. Si pensa così di offrire una chiave per comprendere alcune scelte compiute dalla Pozzi all’interno della bibliografia critica a sua disposizione, mettendo altresì in luce, secondo una precisa prospettiva, il valore del lavoro condotto dall’Autrice entro il panorama della complessiva bibliografia flaubertiana. Nonostante, infatti, quest’ultima si sia da allora notevolmente ampliata, e lo studioso abbia attualmente a disposizione strumenti almeno in parte più completi e rigorosi di quelli allora disponibili, la tesi della Pozzi rimane, all’interno degli studi italiani degli anni Trenta, un unicum che la rende un lavoro non soltanto «di amore», come ebbe a scrivere Banfi nella Premessa all’edizione Garzanti 1940, ma, certamente, sempre citando Banfi, anche di «comprensione intelligente e viva» dei principali nodi dell’estetica flaubertiana, analizzati e esposti con chiarezza dalla Pozzi a partire dal loro sorgere fino al momento della definitiva sistemazione.

*

Dall’Introduzione di Antonia Pozzi a Flaubert negli anni della sua formazione letteraria.

Flaubert, o dell’uomo-artista: tale è il problema di chi si ponga dinnanzi questa umanissima figura di lavoratore dell’arte e cerchi di penetrare il segreto della sua genialità creativa. Nato nel colmo fiorire del Romanticismo francese, avidamente nutritosi fin dalla fanciullezza di «slanci del cuore» e di «male del secolo», dopo avere sognato e liricamente invocato in una triste casa (a un angolo d’ospedale), in una triste città di provincia, le grandi evasioni verso il sole e verso il passato, Flaubert fra i venti e i trent’anni vede intorno a sé e vive dentro di sé, in modo tipico, la crisi e la scissione dell’anima romantica.

L’arte, che la teorica del romanticismo intendeva come suprema autonomia dello spirito, risoluzione e salvazione di tutti i valori della vita, perde in realtà nella prassi artistica la sua autonomia a servigio di concreti ideali: si versa nell’effusione lirica di tipo lamartiniano, si gonfia d’enfasi generica sulla grande strada vittorughiana che porta ai Miserabili. Ed ecco nascere, su dal giovane mondo borghese, una reazione violenta contro questo dilagare del vago e del retorico: è l’esigenza acuta e feconda di una nuova concretezza, è la voce del positivismo scientifico e filosofico, il verbo del realismo artistico.

Ma quella concezione romantica per cui l’arte assurgeva a risolutrice della vita, non si arrende di fronte al decadere dell’attuazione pratica, anzi teoricamente si esaspera e diviene rifugio e vessillo di quanti sentono ugualmente il disagio e dell’enfasi romantico-borghese e della cruda obbiettività realistica; contro la prima s’invoca un rinnovato amore della forma che, attraverso lo studio rigeneratore dei classici, riconduca entro una nuova purezza ed essenzialità di espressione i vastissimi contenuti acquisiti per sempre dal romanticismo al mondo spirituale; contro la seconda si rivendica il valore dell’elemento «occhio umano» nella riproduzione della realtà, si vuole ch’essa superi il meccanicismo fotografico e sia stile, visione recante la vigorosa impronta dello spirito, attività libera da fini eteronomi, Arte per l’arte.

Questo atteggiamento, che unisce Gautier a Baudelaire e ai Parnassiani, supera in Flaubert l’importanza teorica e si concreta in esperienza e salvazione morale di tutta una vita. Se è vero che in arte, a differenza che in filosofia, solo i problemi risolti contano e sul marmo nessuno cerca l’impronta delle mani che hanno foggiato la statua, ma piace in genere di considerare l’opera come già nata e avulsa per sempre dalla persona umana, dalla carne, vorremmo dire, del suo creatore, a noi è parso invece che qui, e soltanto qui – forse – nella storia della moderna cultura, non solo fosse lecito, ma anzi necessario, non recidere il legame vitale che intercorre fra problema di vita e problema d’arte, poiché questo legame costituisce da solo, in questo caso, il fondamento e il valore di tutta una personalità.

Di fronte a una dottrina estetica che, con l’esasperata preponderanza data all’elaborazione stilistica, sembra sfiorare in pratica il rischio del geroglifico e del tecnicismo, noi ci chiediamo: che cosa fa sì che l’opera ci dia, oltre l’emozione della sua bellezza plastica, tanta profonda commozione umana? Che cosa crea, all’interno dell’opera stessa, quell’incessante tensione trattenuta che la colloca come in un’atmosfera vibrata di vetta, di spigolo, dove ogni passo è una conquista esatta e la fatica si rastrema in levità attenta, come per un gioco mortale?

È che qui tutto è impegnato e la stesura di una pagina non implica soltanto la risoluzione di un problema letterario, ma rappresenta di per se stessa la risoluzione vivente di un problema di vita. In altre parole si può dire che, in nessuno come in Flaubert, il clima del tempo e le tradizioni culturali del paese, l’indole innata e le vie dello sviluppo spirituale abbiano così strettamente concorso non solo alla creazione di un’opera in cui i problemi di quel tempo e di quell’indole vengono trasfusi e trasfigurati, ma soprattutto alla formazione di un’estetica che, assommando quegli elementi in un supremo e singolare equilibrio, sembra divenire salvazione completa di una personalità e insieme simbolo di tutta una crisi della cultura.

Ora, ci è parso che il seguire passo per passo la genesi di questa riassuntiva individualità letteraria, l’esaminare da vicino gli alimenti culturali che l’hanno soccorsa e il progressivo delinearsi in essa di una fisionomia originale, fosse non solo di grande interesse, ma anche – qui più che altrove – fecondo di risultati: poiché le esperienze giovanili di Flaubert non sono, come per altri artisti o scrittori, i trascurabili antecedenti di una organica e ben sistemata rivelazione, data nella maturità e riassumente tutte le caratteristiche di una persona spirituale; bensì, nel caso Flaubert, il valore tipico della figura letteraria è proprio costituito da quell’evoluzione teorica che a grado a grado la porta al superamento pratico di se stessa. La storia, dunque, di questo rivolgimento spirituale, i cui due fattori principali sono già insiti nella natura di Flaubert bambino (e gli altri verranno via via accumulandosi intorno dal mondo circostante), è di capitale importanza.

E poiché la conversione teorica, pur precedendo di parecchi anni l’applicazione pratica, può dirsi a un certo punto decisamente compiuta – né avrà, di poi, a mutare –, è stato possibile riunire intorno alla prima formulazione dell’estetica flaubertiana quale è esposta nella giovanile Education Sentimentale, tutte le principali proposizioni critiche che Flaubert verrà enunciando fino ai suoi ultimi anni nelle pagine della Correspondance, nonché i più significativi collegamenti che è possibile stabilire fra questa e le contemporanee dottrine sull’arte.

Come questa dottrina ancora inesperimentata vada cercando, attraverso monche od erronee esperienze creative, la prova di se stessa, fino al grande, benefico travaglio della Bovary, è esposto nel terzo capitolo. Vorremmo avere delineato in tal modo fino alla sua vetta più alta, il cammino ascendente di questo spirito religioso dell’Arte.

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5213_1200986548542_4692695_n*Matteo Vecchio . Nato ventinove anni fa, ha collaborato con «Fronesis», «Il Foglio Clandestino», «Italian Poetry Review», «l’immaginazione», «Materiali di Estetica», «Otto/Novecento», «Paragone Letteratura», «Poesia», «Rivista di Storia della Filosofia», «Studi Italiani». Ha collaborato, in qualità di conferenziere, con l’Istituto di Studi Filosofici Antonio Banfi di Reggio Emilia, il Festival della Letteratura di Mantova, il Festival Librialsole, il Festival della Poesia Civile di Vercelli, l’Università degli Studi di Milano, l’Università degli Studi di Trieste, l’Università degli Studi dell’Insubria. Collabora inoltre con il progetto enciclopediadelledonne.it e, in qualità di consulente letterario, con Radio 6023, emittente dell’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (Fonti: Rai News, Festivaletteratura).

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